mercoledì 30 dicembre 2009

HIGHLORD – The Death Of The Artists


Scarlet - 2009
Power to the people...
Da 1 a 10: power col cervello (7)
Articolo di: Michele Marinel

"You must die to be reborn" cantavano i Manowar nei loro guerreschi perizomi di pelliccia. E in effetti a volte serve che qualche genere musicale defunga per poter rinascere e proporre qualcosa di interessante. E' successo al power metal, che se non proprio defunto era per lo meno moribondo all'inizio del millennio. I grandi nomi sfornavano album uno peggio dell'altro, l'attenzione del pubblico si spostava verso altri generi e la ridda di piccole e medie band che soffocava il genere fasciata in abiti alquanto equivoci venne ricacciata nell'oscurità dall'indifferenza generale. Come accade in questi frangenti chi resiste, a volte, lo fa perchè ha ancora qualcosa da dire, ed è il caso degli Highlord.

Giunta al sesto album la band torinese mette in fila 9 pezzi di power heavy metal piuttosto tradizionale, ma capace anche di reinventarsi guardando alle proprie radici. E' così che accanto a pezzi fin troppo canonici, con batteria sparata e chitarre a motosega, si possono apprezzare brani costruiti con ingegno e ispirazioni, con riff articolati e ottime dinamiche che rimandano all'heavy metal più classico o, nei momenti più melodici, all'hard rock vecchia maniera.
C'è da dire che i brani più strettamente power suonano di già sentito lontano un miglio e, sostanzialmente, rappresentano il punto debole del disco. Nei pezzi più ragionati e meno scontati i nostri riescono a sfoderare un appeal melodico non indifferente, pur riuscendo ad essere energici e convincenti, a tratti anche graffianti.
Insomma un disco di power metal che, pur muovendosi all'interno delle coordinate di un genere in cui si è detto tutto o quasi, riesce a proporre qualcosa di personale ed apprezzabilissimo.

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venerdì 25 dicembre 2009

DARK FUNERAL - Angelus Exuro Pro Eternus


Regain Re
cords - 2009
Black Met
al (quello svedese)
Da 1 a 10: Gli ineffable kings of darkness tornano a pestare duro (7)
Articolo di: Simone "M1" Landi

A distanza di
quattro anni dal precedente "Attera Totus Sanctus" torna a farsi sentire la band di Lord Ahriman e soci, a compimento di un'annata che ha visto un sacco di big della scena black metal internazionale rilasciare nuovi album: dai Marduk ai Gorgoroth passando per gli Immortal.

La prima cosa che balza all'occhio è la continuità stilistica della copertina con le tre precedenti: ancora un satanasso rosso fuoco avvolto dalle fiamme dell'inferno, simbologia tradizionale che si sarebbe potuto rendere in maniera migliore evitando il ricorso alla computer grafica.
A livello di qualità del suono e di scelte stilistiche invece è impossibile non notare un allontanamento da quel "Attera Totus Sanctus" che aveva fatto storcere il naso a molti avendo sacrificato eccessivamente le chitarre in favore della batteria. Ecco quindi che il riffing di Ahriman e Chaq Mol, marchio di fabbrica riconoscibile fra mille, del combo svedese ritorna a sferzare con piena potenza i brani supportato dalla travolgente batteria del recente acquisto Dominator, raggiungendo il picco per ispirazione nella opener "The End Of Human Race". "Angelus Exuro Pro Eternus" però non si limita a pestare infiniti blast beat come nella migliore tradizione Dark Funeral ma offre anche diversi spunti inediti, piccole sperimentazioni utilizzate per evitare un blocco compositivo che all'alba del quinto disco ci si sarebbe potuto aspettare. E' il caso di brani quali "Stigmata" che parte in mid-tempo per poi crescere, farsi più serrata ed esplordere nel più classico degli assalti frontali, inframezzato da un bel lavoro delle asce particolarmente ficcante, della già nota "My Funeral" (per la quale è stato realizzato un video che gira da diverso tempo in rete) che vede Dominator disegnare ritmiche inedite all'interno del Dark Funeral sound, andando oltre la semplicità dei mid-tempo del passato come "Atrum Regina" e "Goddess Of Sodomy" pur senza strafare con particolari esibizioni di tecnica o dell'epica "Demons Of Five" che stupisce per la presenza di un assolo di chitarra.
Il risultato degli sforzi dei Dark Funeral si concretizza in un disco ben saldo sulle posizione del passato che hanno contribuito ad innalzarli al ruolo di black metal band di successo internazionale, mostrando però al tempo stesso la volontà di andare oltre a quanto già proposto pur lasciando inalterato il tratto distintivo del riffing gelido e tagliente come un rasoio. "Angelus Exuro Pro Eternus" è un buon disco, estremamente curato e ben realizzato che però se confrontato col passato risulta ridimensionato: "The Secrets Of The Black Arts", "Vobiscum Sathnas" e "Diabolis Interium" pur con le loro differenze restano il top probabilmente ineguagliabile.

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mercoledì 23 dicembre 2009

FOMENTO - Either Caesars Or Nothing

Coroner - 2009
Thrash-death, Hardcore.
Da 1 a 10: (6/7) E non c'è tempo per respirare.
Articolo di: Enrico De Domeneghi

Se 'fomento' significa ancora 'istigazione deliberata ed intenzionale alla violenza', l'italico combo ha azzeccato almeno un paio di cose: saper rendere bene l'idea della propria musica già dal nome, ed aver scelto un moniker decisamente stiloso. Attivi dal 2005, eccoli al primo full-lenght per Coroner Records, un lavoro double-fax che ha subito attirato l'attenzione di gente del calibro di Hatebreed e Children Of Bodom.

Double-face soprattutto nella sostanza, direi. 'Either Caesars Or Nothing' è un buon connubio di death-thrash ed hardcore in 12 tracce, in cui i cori da pugna alzate convivono con strutture metal, e gli assoli interrompono sfuriate accacì o breakdown mosh senza grossi problemi. Aggiungici le vocals filo-Jasta del discreto urlatore Marco Krasinski, un massiccio uso del doppio pedale ed ottieni i Fomento. Nulla di più lontano dal death-core frangiato, quello per cui prerogativa fondamentale all'ascolto è essere magri e finti-mori, per intenderci. E infatti, già dal press-kit le intenzioni sono chiare: diventare 'the ultimate anti-emo war machine' (fatevi un giretto sul loro sito http://www.fomento.it, date un'occhiata all'immagine di apertura e vi farete subito un'idea -nda).

Va premiata l'intransigenza, certo, ma questo comporta dei rischi. Perchè se la tua band non si chiama Hatebreed o Salyer, cioè se non hai dimostrato negli anni una credibilità tale da poter permetterti di essere sempre più o meno egregiamente la stessa cosa, rifarsi a stili musicali così triti e sviscerati vuol dire ripetere la ripetizione, giocare a carte scoperte. Ad ogni modo, pur sempre di un debut album si tratta, e se ancora c'è di certo spazio per mettere del proprio, brani come 'Burial At Sea' o 'Faithless' sono già buone preview di cosa i Fomento potranno diventare. Hanno buone potenzialità ma non si sono ancora applicati del tutto. Diamogliene il tempo.

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martedì 22 dicembre 2009

AUGRIMMER - From The Lone Winters Cold


Northern Si
lence Production - 2009
Black Met
al (il freddo solitario dell'Inverno)
Da 1 a 10: Le qualità ci sono ma vanno evitati i troppi passaggi insipidi (6)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Avevamo lasci
ato gli Augrimmer qualche mese fa con il buon ep d'esordio intitolato "Autumnal Heavens" che mostrava una band meritevole di incidere il proprio debutto su lunga distanza e oggi eccoli tornare alla carica su Northern Silence Productions.

Stilisticamente "From The Lone Winters Cold" prosegue da dove il lavoro precedente si era interrotto, vale a dire da un black metal di stampo tradizionale ma che rifiuta la cacofonia in favore di una giusta qualità sonora dalla quale emerge anche il basso. Le ritmiche non sono mai eccessivamente tirate, nè fini a se stesse, anzi contribuiscono a rendere i pezzi dinamici in quanto sono presenti numerosi stacchi, crescendo di tensione e cambi di tempo. Le sensazioni che emergono dall'ascolto sono tipicamente invernali e di stampo "naturalistico" in cui il gelo la fa da padrone ma i punti più alti sono toccati quando all'interno del riffing delle chitarre si inseriscono frammenti melodici tendenti ad un leggero sapore malinconico. Personalmente a livello di feeling il disco scorre fra alti e bassi, tra momenti degni di nota ed altri meno incisivi senza mai scadere però nell'insufficienza: la corposa titletrack, "The Orcus Storms" e la conclusiva "A Thrall Of The Night" sono gli apici.
In conclusione, gli Augrimmer ribadiscono di avere buone potenzialità e di saperle talvolta sfruttare nella maniera più appropriata, ulteriore esperienza e lavoro non potranno che rafforzare il gruppo per evitare all'interno della tracklist qualche calo di tono di troppo.

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lunedì 21 dicembre 2009

DOPE STARS INC. - 21ST CENTURY SLAVE




Subsound Records-2009
Electro Metal (ma potremmo anche aggiungere ebm-glam-cyber-rock)
Da 1 a 10: Un nuovo passo avanti (8)
Andrea “Psalm 69” Valeri

Una perfetta macchina da guerra.
Così potremmo definire la band di Victor Love, alla luce di un passato contrassegnato da interessanti uscite e un presente gravido di buone novelle.
A breve distanza dal mega ep “Criminal Intents/Morning Star”, viene partorito il nuovo studio album del gruppo romano e possiamo affermare con una certa sicurezza che i nostri non si smentiscono, riuscendo a suonare nella maniera migliore.

Non si discostano dalle coordinate già impostate ma amplificano le sonorità in cui si innestano mutanti bagliori electro al ritmico incedere di chitarre spietate e corpose.
La voce tagliente di Victor Love si staglia sugli assalti cibernetici inacidendo la mistura metal pronta a trasudare stordenti assalti di beat impazziti.
Nell’arco di undici pezzi, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una band ormai matura e ben consapevole delle proprie possibilità e delle evidenti capacità.
Una conferma estremamente gradita.

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giovedì 17 dicembre 2009

ALKONOST - Put' Neprojdennyi


VIC Records - 2009 (stampa originale nel 2006)
Folk Metal (gothic/folk banalotto)
Da 1 a 10: Un'idea potenzialmente interessante resa in maniera scialba e scontata (5)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Sarebbe potu
to essere lodevole l'intento dei russi Alkonost di fondere in "Put' Neprojdennyi" ("The Path We've Never Made" la traduzione in inglese del titolo) certo folk metal, a dir la verità oggi piuttosto inflazionato e standard, con passaggi goticheggianti moderni (quasi sinfonici) al limite di gruppi quali Within Temptation, tanto per fare un nome a caso, impreziositi poi dalla voce femminile di stampo lirico di Alena Pelevina.

Sfortunatamen
te questo pregevole tentativo non sfocia in nulla di eccezionale in quanto entrambe le componenti musicali principali sono rese a livelli troppo scontati e non si vede quindi il bisogno di ristampare questo disco originariamente uscito nel 2006, se non per il fatto di una possibile diffusione limitata alla sola Russia a quel tempo. Altra pecca piuttosto grave è la durata troppo elevata dei brani, non giustificata in alcun modo e che tende ad aumentare il sentimento di noia generato da certi brani troppo poco dinamici come ad esempio "Nivushka-Niva". Nel 2009 gli intrecci vocali growl/soprano ("Golos Leslov"), stacchi a base di archi ("Noch' Pered Bitvoj"), passaggi pianistici e qualche tastiera "finto folk" non sono sufficienti per essere considerati degni di attenzione. "Put' Neprojdennyi" è quindi l'ennesimo disco che dopo il terzo ascolto finisce nel dimenticatoio per non uscirne mai più.

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mercoledì 16 dicembre 2009

MY LIFE WITH THE THRILL KILL KULT - Death Threat



Sleaze Box - 2009
Industrial (personalizzato)
Da 1 a 10: Più che buono (8)
Articolo di: Martina d'Errico

Nuovo disco per i My Life With The Thrill Kill Kult, band industrial originaria di Chicago e attiva da più di vent'anni. Quest'album è composto di 10 pezzi di ottimo industrial-electro suonato ad opera d'arte e ricco di spunti che vanno oltre le strutture tipiche del genere, come possiamo notare in "Spotlite Hooker" e "Foxxxy Rockit", vagamente hip-hoppeggianti, in "Load Road" che si avvicina ad andamenti rock.

L'album parte subito alla grande con "Witchpunkrockstar", che come spesso accade ai pezzi d'apertura, fa un po' da "guida" generale di quello che sarà il proseguo, mettendo in tavola tutte le carte della band e mostrando fin da subito quell'orecchiabilità (passatemi il termine) che fa sì che ci si ricordi subito di alcuni pezzi e venga voglia di riascoltarli. Si continua quindi con "Invasion (of the ultra models", brano più oscuro e decisamente industrial che lascia poi il posto alla titletrack, uno dei pezzi forti del disco, ritmatissimo e consistente, la vera canzone che fa venire voglia di ballare! Dopo la già citata "Spotlite Hooker" è il turno di "Lone Road", dove le parti elettroniche la fanno da padrone e le atmosfere tornano cupe. Ottima anche "Who R U Now?" che ricorda i tempi d'oro di Manson, mentre "The Ultimate Nude" è un brano corto e riflessivo ma dotato di un suo fascino particolare. "Bottoms Up" ha nuovamente qualche elemento che riconduce all'hip-hop, magistralmente affogato in musiche industrial, creando così un mix particolare ed interessante, ma siamo giunti alla fine, affidata a "Psychik Yoga", il pezzo più sognante e stravagante dell'intero lavoro.Un buonissimo disco che piacerà ai fan di Rob Zombie e del vecchio Marilyn Manson, due gruppi che sicuramente si sono ascoltati i My Life With The Thrill Kill Kult.

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martedì 15 dicembre 2009

MANDRAGORA SCREAM - Volturna



Lunatic Asylum Records - 2009
Gothic Metal
Da 1 a 10: 7/10
Articolo di: Maurizio Mazzarella

Rappresenta un gran bel passo in avanti per i Mandragora Scream questo nuovo album "Volurna", il quarto in studio partorito dalla band, che giunge sul mercato discografico a tre anni distanza dal precedente "Madhouse". La ricetta msuicale di Morgan Lacroix e compagni, è ormai ampiamente nota e nel

complesso è rimasta immutata, i Mandragora Scream assestano le proprie radici tra il gothic ed il dark metal, rendendo particolarmente fruibile il proprio stile. "Volturna" nella sua totalità, prosegue sulla scia tracciata dalla band sin dai tempi dei propri esordi, ma a differenza del passato, c'è un'evoluzione evidente verso un sound più moderno ed all'avanguardia, con un uso smisurato di suoni sintetici come i Kovenant di "Animatronic", ma che comunque non stanura l'essenza di un gruppo capace di evolversi con coerenza. I brani sono particolarmente morbidi, la componente heavy viene ponderatamente messa da parte a favore di sonorità più accessibili, ma questo non vuol dire che "Volturna" sia un insieme di canzoni eccessiamente commerciali, anzi, si dimostra un prodotto assolutamente succulento per i palati fini che adorano questo settore musicale. Il disco gode di una produzione impeccabile, il suono è pulito e le varie canzoni scorrono in modo fluido e dinamico, ma la cosa che più è capace di sbalordire l'ascoltatore, è la cura minuziosa degli arrangiamenti, dove anche il più piccolo dettaglio è studiato in modo maniacale. "Volturna" è un lavoro maturo, che conferma la fortissima personalità della band, con pezzi intensi, ispirati, capaci di sedurre ed ipnotizzare, coinvolgere ed avvolgere nel proprio abbraccio sonoro. Ci sono momenti complessi, ma comunque molto semplici d'assimilare, in un album che analizzato nelle propria completezza, gode di un impatto immediato, perché "Volturna" piace sin dal primo ascolto. I Mandragora Scream hanno talento, spessore tecnico e forti abilità compositive, componenti che possono consentire a questa band di spiccare il volo e raggiungere consensi molto ampi. Bravi Mandragora Scream, il futuro è vostro.

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RPWL - The Rpwl Experience Live DVD



Metal Mind - 2009
Progressive Rock
Da 1 a 10: 8/10
Articolo di: Salvatore Mazzarella

Davvero incantevoli la visione e l’ascolto di questo magnifico dvd, che suggella la carriera dei teutonici Rpwl (acronimo dei fondatori del gruppo), nati come cover band dei Pink Floyd, per poi costruirsi un repertorio di tutto rispetto che oggi conta ben cinque studio albums ed un live,oltre al presente che esce anche nella forma dvd + 2cd. Quello che ad un primo ascolto può sembrare un sound che prende le mosse dai Pink Floyd stessi e dai Marillion era Hogarth, è in realtà del tutto originale, con brani che hanno lievi innesti prog, per nulla pretenziosi e per nulla prolissi, sapientemente incastonati all’interno di essi e che comunque mantengono la forma di piacevoli canzoni, facilmente memorizzabili ma assolutamente mai banali, e questa è una qualità che solo pochi musicisti possono vantare. Registrato a Katowice in Polonia durante il ProgRock Festival di cui gli Rpwl son stati headliner,il dvd è praticamente perfetto: le riprese altamente professionali ed il suono eccezionale (presenti versione 2.0 e 5.1) sono la giusta cornice ad uno show unico dove la stessa atmosfera intima e rilassata del teatro in cui è stato effettuato è la stessa che cattura chi beneficerà della visione di questo prodotto, grazie ad un light show essenziale ma composto da colori cristallini e dalla proiezione di filmati su uno schermo collocato al centro palco. Il resto poi lo fa la band, che si pone davanti al suo pubblico con tanta umiltà ma con una classe ed un eleganza, sia negli arrangiamenti dei brani, sia nella tenuta del palco, davvero fuori dal comune. Corredano il dvd alcuni extras composti da intervista,breve documentario sul tour,video e galleria fotografica. Non servono ancora altre parole per consigliare caldamente l’acquisto non solo agli amanti del genere ma anche a chiunque ami la buona musica live.

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WHILE HEAVEN WEPT - Vast Oceans Lachrymose



Cruz del Sur Music - 2009
Epic/Progressive/Doom Metal
Da 1 a 10: 8/10
Articolo di: Maurizio Mazzarella
Vengono dagli Stati Uniti d'America questi While Heaven Wept, per la precisione dallo stato della Virginia e questo nuovo lavoro "Vast Oceans Lachrymose", è il terzo capitolo del proprio percorso artistico in venti anni di attività, che giunge a sei anni di distanza dal precedente "Of Empires Forlorn" e ad unidici dall'esordio "Sorrow of the Angels". Come si può quindi descrivere questo Vast Oceans Lachrymose?

Semplicemente con la parola capolavoro, un solo vocabolo per porre in evidenza la classe, il talento e la qualità compositiva dei While Heaven Wept, una band che fonde in modo egregio l'epic power metal con il doom, puntando anche su sfumature orchestrali, folk e progressive, senza prendere come rifermimento altre formazioni anche più celebri, ma puntando esclusivamante sulla propria personalità, una componente assolutamente predominante in Vast Oceans Lachrymose, ovvero, un album che scorre in modo fluido e dinamico, che non ha mai un calo di tono e che giova di una produzione assolutamente impeccabile. C'è della grande tecnica in questo disco, ma soprattutto ci sono delle grandi canzoni, condite da armonie estatiche e da melodie seducenti quanto ipnotizzanti allo stesso tempo, dove i While Heaven Wept incantano e strabiliano con pezzi complessi, ma comunque di facile assimilazione. Gia dal brano d'aperura The Furthest Shore, si ha un'idea molto ampia del grande valore e spessore artistico di Vast Oceans Lachrymose, un brano di oltre quindici minuti di durata per un arco di tempo che scorre via in un attimo, mettendo in mostra l'aspetto più duro ed energico della musica della band statunitense, ma anche quello più tecnico e virtusoso, senza perdersi in strade tortuose e rimarcando anche il lato sinfonico del progetto, grazie ad un uso ponderato delle tastiere e la pregevole intensità delle chitarre. Cosa dire poi di Vessel, in assoluto il momento più elevato del disco, perché il più ispirato, perché dotato di una forte dose di passionalità e perché capace di trasmettere emozioni, forse l'aspetto più importante che una canzone deve avere in suo possesso. Tutto questo, per dire che Vast Oceans Lachrymose è un grande disco. Fatelo vostro a prescindere dal genere che amate ascoltare, fatelo vostro perché questa è grande musica.

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P.F.M. – Report Live “Palamazzola” Taranto 10/12/2009


La Premiata Forneria Marconi canta De Andrè e nel lungo tour a supporto di questo progetto, che ormai perdura da qualche tempo e dal quale è scaturita la pubblicazione di un CD+DVD dal vivo, Franz Di Cioccio, Franco Mussica e Patrick Djivas, hanno fatto tappa in quel di Taranto, presso il “Palamazzola”, che per l’occasione è stato riempito da un folto numero di spettatori. Guardandosi attorno, la capacità principale della P.F.M., oltre alle loro indubbie e straordinarie doti tecniche, è stata quella di unire almeno quattro generazioni, ma non solo, perché un’altro merito di Di Cioccio e compagni, è stato anche quello di mettere assieme fruitori di stili musicali diversi, tra amanti di sonorità forti, di tecnicismi di notevole spessore artistico e di semplici ascoltatori di musica leggera, che ovviamente, si andavano ad unire ai numerosi fans della band stessa e del maestro Fabrizio De Andrè, amorevolmente soprannominato Faber. La band sale sul palco del Palamazzola con estrema puntualità, con l’incredibile Franco Mussida alla chitarra, lo stupefacente Patrick “Le Roy” Dijvas al basso e l’inarrestabile Franz Di Cioccio particolarmente abile ad alternarsi tra il microfono e la batteria, con l’ulteriore contributo del poliedrico maestro Lucio Fabbri al violino, alla chitarra ed alle tastiere, Gianluca Tagliavini alle tastiere e Pietro Monterisi alla batteria. La P.F.M. nel complesso, si esibisce come se fosse una piccola orchestra, come se fosse un automa o un insieme di ingranaggi capaci di muoversi su sincronismi perfetti. Lo show si divide in due parti, una prima dedicata al repertorio di De Andrè ed una seconda dove la Premiata Forneria Marconi dona spazio ai propri componimenti dando libero sfogo al proprio estro ed alla propria genialità. Lo show parte con l’intensa “Bocca di Rosa”, un brano che dona subito una fortissima ondata di calore sul pubblico e consente ai presenti più in avanti con gli anni di compiere un notevole balzo nel passato, quando la stessa band si esibiva con il maestro De Andrè. A seguire giunge poi “La Guerra di Piero”, dove vengono affrontati argomenti profondi e toccanti. Si respira aria di poesia pura al Palamazzola, con Di Cioccio che legge i testi dei brani da un leggio. Il pubblico presente gradisce ed applaude costantemente, provocando una scarica di adrenalina nei musicisti, specialmente in Franco Mussida, assolutamente in grandissima forma. Il tempo non è mai passato per Di Cioccio, che salta da un punto all’altro del palco con estrema facilità. La fusione tra i testi di De Andre ed il rock progressivo della P.F.M. è da brividi ed i duetti tra il violino di Lucio Fabbri e la chitarra di Mussida sono un esempio di eleganza e raffinatezza. Con “Giugno ‘73” c’è la dedica a chi vuole intraprendere la carriera di musicista, con “Zirichiltaggia”, pezzo dal testo in dialetto rigorosamente sardo, Mussida abbraccia il pubblico di Taranto ricordando il proprio periodo di naia nella cittadina ionica, ma c’è tempo anche per “Un Giudice”, “Il Testamento di Tito” e “La Canzone di Marinella”, accompagnata dal coro del pubblico ed impreziosita da un incredibile assolo centrale di Mussida. Messo da parte temporaneamente il repertorio di De Andrè, si passa alla musica della P.F.M., con “Four holes in the ground”, dove si ritaglia un ruolo da protagonista il mitico Patrick Djivas, ecco poi “Out of the roundabout”, con il carismatico Di Cioccio che esalta il pubblico impugnando l’asta del suo microfono, adornato da una bandana sul capo e con le fide bacchette infilate nella cintura. Il repertorio della band è vastissimo ed è sempre molto attuale, con “La Carrozza di Hans”, dove si respira aria pura di rock progressivo e di anni settanta, oppure con l’ispiratissima “Maestro della Voce”, arricchita dal coro del pubblico. L’apoteosi giunge con “Il Pescatore”, tornando al repertorio di De Andrè dove il pubblico si lascia andare ad una danza inarrestabile e coinvolgente, conclusa da un’autentica ovazione per tutta la band. Dopo un brevissimo momento di pausa, Di Cioccio e compagni tornano sul palco, spiazzano tutti con l’intro di “Smoke On The Water” dei Deep Purple per passare ad “Impressioni di Settembre”, introdotta da uno strumentale maestoso ed infine al grido di “Celebration”, la chiusura è affidata ad “È festa”, dove non esistono più limiti e viene a cadere ogni barriera. Si chiude poi il sipario su una splendida serata dove a regnare è la musica nella sua totalità, un mondo nel quale l’arte può esprimersi senza confini.

di Maurizio Mazzarella

foto A.C.

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lunedì 14 dicembre 2009

HANDFUL OF HATE - You Will Bleed


Cruz Del Sur - 2009
Black Metal (tra il dolore e la perdizione)
Da 1 a 10: Una carica di odio e violenza devastante (8)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Gli Handful Of Hate
sono tornati per restare. Fatta piazza pulita della vecchia line-up, ormai non più coesa a dovere, Nicola Bianchi ha reclutato nuovi elementi e sfornato l'ennesimo disco senza compromessi nel segno della violenza e della depravazione black metal.

Stilisticamente il gruppo si muove sulle sonorità già espresse in passato con "Vicecrown" e "Gruesome Splendour", sulla scia tipica svedese rinforzata da una certa "quadratura" death e da una maturità compositiva che permette agli HOH di scaricarci addosso la furia di nove brani estremamente coesi ed omogenei ma mai ripetitivi o scontati.
La title-track è emblematica riguardo allo splendido stato di forma del combo toscano, si muove dinamica senza perdere un briciolo di veemenza e brutalità mentre a metà tracklist "The March Of Hate" ci mostra ancora una volta la capacità dei nostri di ricreare atmosfere malefiche e perverse che portano dritto dritto alla dannazione senza dover per forza spingere sull'acceleratore, dando anche modo all'ascoltatore di riprendere fiato prima di gettarsi a capofitto nel devastante trittico finale aperto da "Between Pain And Perdition" e chiuso da "Extremism Made Fire - Cholera". La perdita di un batterista come Gionata Potenti sarebbe potuta essere devastante ed invece Andrea Bianchi svolge un buon lavoro, a tratti davvero terremotante come in "I Gave You Scars".
In conclusione, abbiamo fra le mani un prodotto "conservatore" ma estremamente coerente, sincero e cattivo insomma le caratteristiche che dovrebbe sempre avere un buon album black metal. Non serve aggiungere che per i fan della band sarà un acquisto da compiere ad occhi chiusi. Questo è quanto: prendere o lasciare!

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venerdì 11 dicembre 2009

GAMA BOMB - Tales From The Grave In Space



Earache Records - 2009
Thrash Metal (il solo ed unico)
Da 1 a 10: Thrash'em All!!!! (10)
Articolo di: Davide Pozzi

Grande ritorno degli irlandesi Gama Bomb, probabilmente (anzi levate pure il probabilmente), la migliore nuova realtà thrash metal (quello vero) in circolazione. Giunti al terzo album ufficiale in poco più di sette anni di vita, la band irlandese ha saputo dimostrare attraverso tre dischi ed un’incessante attività live un’attitudine al genere proposto unica nel panorama odierno.

Prelevati direttamente dagli anni ’80 e trapiantati ai giorni nostri per ricordarci come si suona musica metal, i Gama Bomb confezionano l’ennesima prodezza musicale, caratterizzata dall’inconfondibile velocità, freschezza ed energia che sprizza da ogni loro singolo brano. “Tales From The Grave In Space” altro non è che un magnifico inno al thrash metal old school, scuola Exodus, di quello che fa muovere il capoccione di ogni vero metallaro su e giù per una trentina di minuti. Pieno zeppo di riff e assoli immediati quanto mai, come da tradizione, eseguiti magistralmente da Domo Dixon e Luke Graham, è a tratti sconcertante la disinvoltura con la quale la band confeziona pezzi assolutamente irresistibili e di grande qualità; dove spiccano oltre i già citati chitarristi il drummer Paul Caffrey, il bassista Joe McGuigan e la superlativa voce del singer Philly Byrne. Dopo il bellissimo “Citizen Brain” del 2008, “Tales From The Grave In Space” segna in maniera ancora più indelebile il nome della band irlandese sul taccuino di ogni estimatore del genere thrash metal e non solo. Per quello che mi riguarda, un lavoro assolutamente imperdibile, fra l’altro l’intero album è scaricabile gratuitamente. Thrash’em all!

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EVILE - Infected Nations



Earache Records - 2009
Thrash Metal (old-school)
Da 1 a 10: Passo indietro (6)
Articolo di: Davide Pozzi

Due anni dopo l’uscita del debut-album “Enter The Grave”, tornano i thrasher Evile con un nuovo lavoro dal titolo “Infected Nations”. Considerati da molti come una delle più promettenti nuove realtà in ambito thrash metal, la band inglese grazie ad un’intensa attività live che li ha visti calcare i palchi di mezza Europa al fianco di mostri del calibro di Exodus, Megadeth e Amon Amarth ha confermato tutte le aspettative che erano venute a galla dopo l’ottimo debutto.

Da sempre debitori verso il più puro e diretto dei thrash metal, scuola Slayer ed Exodus tanto per intenderci; in questo nuovo lavoro gli Evile pur mantenendo intatte le loro caratteristiche cambiano approccio, abbandonando quasi del tutto l’immediatezza e la sfrontatezza che aveva caratterizzato il primo disco, per proporre brani meno veloci e più ragionati: “Now Demolition”, “Nosophoros”, “Genocide” e in generale ogni pezzo di “Infected Nations” suona in maniera diversa. Pur essendo passati solo due anni dal precedente capitolo, sembra quasi d’ascoltare un’altra band, completamente impegnata con la ricerca del proprio stile. E’ innegabile che questa scelta, se pur logica e sinonimo di personalità, va a pesare sulla totalità del disco, che risulta abbastanza sottotono e debitore di svariati ascolti per essere apprezzato del tutto, senza mai suonare esaltante come il suo predecessore nemmeno per un istante. Precisato ciò, per chi scrive, la band inglese rimane pur sempre, per qualità tecniche (la traccia strumentale “Hundred Wrathful Deities” ne è una prova) e per quello che potrebbe fare in futuro, una delle più interessanti realtà in ambito thrash metal. Diamogli un’altra occasione.

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sabato 5 dicembre 2009

HANDFUL OF HATE - Coerenza e determinazione


Intervista a: Nicola Bianchi (vocals & guitar)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Freschi dell'uscita di un nuovo devastante lavoro "You Will Bleed", abbiamo scambiato quattro chiacchiere con un determinatissimo Nicola che ancora una volta ci dimostra il significato del termine coerenza.

Ciao ragazzi, benven
uti sulle pagine di Ncore Webmagazine e grazie per la disponibilità a concederci questa intervista, veniamo subito al punto. E' fuori ormai da alcuni giorni il vostro nuovo disco "You Will Bleed", quali sono le vostre sensazioni a riguardo? Quali le reazioni di pubblico e critica?
Grazie a voi per l'intervista. Sì, il disco è uscito ufficialmente il 4 novembre scorso e le prime impressioni sono ottime. Le recensioni sono entusiasmanti e stiamo ottenendo voti altissimi (tra cui 14/14 su Legacy in Germania) su molti magazines che solitamente non vedono di buon occhio le bands estreme che vengono dall'Italia. L'etichetta ha già dovuto ristampare perchè tutta la prima stampa è in giro per il mondo tra i distributori che, a quanto pare, stanno avendo richieste di gran lunga superiori rispetto al precedente album.

Il vostro quinto disco vede presente una line-up profondamente rinnovata rispetto al passato, volete ricapitolare le vicende che hanno portato a questa situazione ai lettori che non le conoscono?
Penso che un po' tutti sappiano che abbiamo sempre avuto problemi interni e quanto sia difficile trovare musicisti motivati e duraturi nel nostro paese. Semplicemente nel 2007 le premesse con le quali avevamo stabilito un rapporto tra i membri erano venute meno a causa di atteggiamenti sbagliati, cambi costanti di opinioni e comportamenti solo deleteri, la band era arrivata ad uno stallo. Già mesi prima mi ero reso conto che a breve sarebbe successo un vero e proprio rinnovamento, da qui cominciai a prendere contatti con nuovi musicisti ed a lavorare con loro. Bastò una piccola scintilla ed i 3/4 della band si autoeliminarono. Da qui ho ricominciato un lungo e duro lavoro molto meticoloso che ci ha portato a distanza di un anno a tornare live, e dopo due anni dal cambio di formazione a riproporci con un nuovo disco. E' stato un grande successo personale, nonostante faccia invidia e scateni costanti gelosie che sfogano in atteggiamenti miserabili e puerili, ma non me ne curo, io vado avanti per la mia strada. Ho sempre detto "nessuno qui è indispensabile", si lavora per un fine comune e le rockstars, specialmente quelle che ogni quattro mesi cambiano opinione sui generi musicali, è bene continuino per la loro strada. Ho bisogno di persone umili e motivate che siano felici di produrre qualcosa sotto questo nome, non di caratteri arroganti e vili. Detto questo non ho niente contro chi ha attraversato la storia di questa band dando un suo contributo, ho solamente bisogno di coerenza e costante voglia di lavorare per una causa comune. Lascio le infamie, le voci false, pettegolezzi e soprattutto le sterili lotte di quartiere, che si compiono nella miseria della nostra scena metal, ad altri. Io rispondo solo di persona! Chi vuol capire capisca.

Quali pensate possano essere i punti di forza di "You Will Bleed"? Quali le differenze con gli album del passato?
Innanzi tutto un ritorno al Black Metal puro delle origini. Poi aver sfruttato un ottimo chitarrista con ottime idee come Deimos sia nel suonato che nella produzione. Abbiamo puntato molto poi sulla sessione ritmica di Andrea. Finalmente un drumming preciso, che annovera molte parti dispari da quelle pari, i pezzi registrati con click, magari a discapito di qualche bpm di velocità, ma senza il bisogno di giorni interi di editing di batteria per sistemare, tutto avendogli lasciato libertà di proporre nuove soluzioni sui toms e sui piatti. Penso che questo sia un album maturo e completo.

Quali sono gli argomenti che avete trattato nei testi?
La mia linea è quella di un esame della materialità terrena. Niente o quasi di trascendentale, aberro i soliti testi Black Metal, le solite immagini coi lupi, foreste etc. (specialmente quando sei italiano secondo me ti copri di ridicolo!) ci sono molte altre cose e più originali dei soliti sentieri tracciati dal nord Europa. Ho sempre avuto un forte interesse per la carnalità estrema, le forme di piacere più raccapriccianti dettate dalla letteratura erotica del Settecento fino ai giorni nostri ed una sentita battaglia, questa volta, non contro figure iconiche che rappresentano il culto della Cristianità ma contro il cancro che inquina la nostra esistenza tutti i giorni: la Chiesa cattolica di Roma. Detto questo il nuovo album tratta moltissimi aspetti incluse le grandi epidemie che hanno decimato "le umane genti" fino alle reazioni più efferate all'agonia del vivere.

Abbiamo parlato di passato, potreste commentare brevemente le tappe del percorso degli Handful Of Hate attraverso le varie uscite discografiche?
Nel 1995 uscì il primo demo "Goetia Summa", nel 1997 il primo album "Qliphothic Supremacy" e nel 1999 il secondo "Hierarchy 1999". Segue una fase abbastanza lunga in cui tra problemi di formazione e stallo discografico inizia una vera e propria maturazione musicale, i primi sintomi si intravedono nell'EP "Death From Above" del 2001 e il vero e proprio sviluppo in termini di professionalità e maturità compositiva si ha col terzo album "Vicecrown" nel 2003. Seguono sempre nello stesso anno due releases a stretto giro l'EP "Scorn And Conquest" ed il mcd "Blood Calls Blood". Nel 2006 il quarto cd "Gruesome Splendour" e finalmente si arriva all'ultimo album uscito da un mese scarso "You Will Bleed".

Con oltre quindici anni di carriera alle spalle vi possiamo considerare fra i veterani del metal estremo tricolore e ne avrete passate sicuramente di tutti i colori. Quali ritenete però essere il momento più alto e quale il più basso della vostra storia? Avete mai avuto intenzione di gettare la spugna dopo un particolare evento negativo?
Nonostante alcuni personaggi mossi da invidia per la nostra continuazione e sviluppo musicale dopo il 2007 si siano affannati a dire che eravamo morti, mai a me è passato per la testa di gettare la spugna, ho solo pensato di riorganizzarmi che è molto differente. Momenti particolarmente difficili sono stati nel 1994 quando subii il lutto del mio bassista e nonostante tutto ripartimmo dedicando a lui il primo demo ed il primo album. Momenti positivi direi adesso con l'uscita del nuovo album, ed una condivisione dell'esperienza musicale con persone motivate e mature. Son stato molto bene anche nel 2007 quando i 3/4 della formazione si autoeliminarono, uscendo da un periodo annuale di stress recuperai sei kg in tre mesi!

Che cosa è per voi ora, nell'anno 2009, il black metal? Solo un genere musicale o qualcosa di più profondo?
Un genere musicale che include a più e differenti livelli uno stile di vita proprio.

C'è qualche disco che vi ha particolarmente colpito ultimamente oppure un'artista o gruppo che avete riscoperto?
Più che in positivo mi hanno colpito alcune grosse bands che continuano a distanza di dodici mesi a sfornare album in serie per obblighi contrattuali. Sanno suonare divinamente, è raro che facciano uno schifo, ma si sente che di fresco non c'è niente. Addirittura si sente un reciclare di riffs e soluzioni già fatte mille volte e aggiornate di pochissimo.

Chi sono e cosa fanno gli Handful Of Hate una volta svestiti i panni di musicisti nella vita di tutti i giorni?
Siamo quattro persone che lavorano in settori differenti. L'unico che campa di musica è il nostro batterista avendo molti allievi, stages e corsi continui. Io personalmente sono laureato in Storia Medievale ma sembra quasi impossibile di questi tempi trovare impieghi nell'ambito culturale. Ragion per cui attualmente sono un lavoratore autonomo nel campo dell'artigianato.

Quali sono i vostri programmi per il futuro? Come vi state muovendo sul fronte dei concerti? Quanto è importante per voi la dimensione live?
Per noi la dimensione live è fondamentale. Stiamo chiudendo adesso le date per la primavera includendo paesi come Spagna, Francia, Grecia e l'est Europa.

A voi la parola per chiudere questa intervista.
Ringrazio voi per l'intervista e le persone che ci seguono e supportano apprezzando la nostra musica. Grazie!

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venerdì 4 dicembre 2009

SUICIDAL ANGELS - Dal profondo dell'oscurità




Intervista a: Patos (guitar)
Articolo di: Davide Pozzi

Appena usciti con il loro devastante secondo album "Sanctify The Darkness", i greci Suicidal Angels si apprestano a mettere a ferro e fuoco l'intera Europa, con una serie di date al fianco dei Kataklysm. Patos chitarrista della band ellenica, risponde ad alcune delle nostre domande.

Ciao ragazzi, come vanno le cose?
Ciao, tutto bene! Siamo stanchi perché proviamo cinque giorni a settimana, ma finalmente a gennaio saremo on the road. Siamo eccitati perché il nostro nuovo album è appena uscito e vogliamo sentire il parere dei nostri fan.

Il vostro secondo album “Sanctify The Darkness” è appena uscito, cosa puoi dirmi al riguardo?
Beh è senza dubbio il nostro lavoro più maturo. Abbiamo investito un sacco di denaro per questo disco, è stato registrato in Germania nel marzo 2009 con l’aiuto di R.D. Liapakis dei Mystic Prophecy ed è fino ad ora la nostra creatura più professionale. E’ uscito per Nuclear Blast e abbiamo già girato un videoclip per uno dei brani.

Cosa troviamo in questo nuovo album che non era presente in “Eternal Domination”?
“Sanctify the Darkness" è decisamente più maturo rispetto “Eternal Domination”. Abbiamo avuto il tempo di esaminare la struttura delle canzoni, inserendo parti mid-tempo senza però alterare quello che sono le nostre caratteristiche. Come ho detto prima il nostro debutto è stato come una jam session, il nostro secondo “figlio” è più variegato, suona meglio in termini di produzione (poiché abbiamo registrato in condizioni professionali) e ha molti altri dettagli in più.

Dopo un ottimo debut-album, si sono create molte aspettative per il vostro nuovo lavoro, come avete gestito questa pressione?
In realtà non abbiamo ricevuto nessuna pressione, dal momento che quando abbiamo iniziato a registrare l’album non avevamo ancora firmato con la Nuclear Blast. Semplicemente cercavamo una nuova label per promuovere il nostro lavoro ed è spuntata la NB. Così non abbiamo avuto nessuna pressione, ci siamo presi il nostro tempo per comporre i pezzi e in circa venti giorni le registrazioni sono finite.

Come procedete per la creazione dei brani?
Si tratta di un lavoro collettivo. Abbiamo sempre composto le nostre canzoni in sala prove, lavoriamo a casa su diversi riff e idee, poi mettiamo tutto insieme e cerchiamo di tirarne fuori qualcosa. Cerchiamo di capire cosa si adatta meglio ai diversi riff e alla fine della giornata tiriamo fuori due tre pezzi. Poi Nick scrive i testi e Angel diverse volte lo aiuta, dopo di che la canzone è fatta. A volte però non è così facile, potrebbe passare una settimana senza tirare fuori nulla di buono e poi magari scrivere tre brani in un giorno solo. Tutto dipende dal nostro stato d’animo e da quanto siamo ispirati.

Da dove viene fuori la fantastica cover di “Sanctify The Darkness”?
La cover è stata creata da Kristian Wahlin e siamo convinti che nessuno avrebbe potuto fare di meglio. Fondamentalmente la Nuclear Blast ha assegnato il compito a Kristian, perché noi non avevamo nulla in mente di particolare che potesse essere utilizzato come cover, gli abbiamo solo dato un paio d’idee su quello che volevamo vedere in copertina e lui l’ha fatto! Noi la amiamo è una cover fantastica.

Quanto è importante l’esibizione live per una band come la vostra?
I live sono sempre stati importanti, non solo per i Suicide Angels ma per ogni heavy metal band che si rispetti. E’ il luogo dove una band ha la possibilità di dimostrare ai fan che tutto quello che sentono in un disco è reale. Si arriva sul palco, tutti insieme e lì dimostri a tutti se sei vero o falso. L’esecuzione live di fronte ad un pubblico “selvaggio”, è un sentimento che non si può paragonare a nulla. L’energia, il ruggito della folla, le luci, il sudore, il calore; non si può spiegare è semplicemente fantastico.

Voi siete una band 100% thrash metal, quali sono le vostre principali influenze?
In realtà il nostro sound è anche death metal, ma è vero in gran parte facciamo thrash. Le nostre influenze variano a seconda dei gusti dei membri della band, ognuno di noi ha dei gruppi preferiti. Anche se tutti noi amiamo band come: Slayer, Kreator, Forbidden, Dark Angel, Sepultura. Talvolta riascoltando la nostra musica troviamo delle similitudini con band come Suffocation e Possessed!

Quali sono gli immediati progetti futuri?
I nostri progetti per il futuro…Beh il 7 gennaio cominceremo un tour con Kataklysm, Belphegor, Darkest Hour e Resistance. I primi di febbraio torneremo a casa, dove forse faremo un altro tour, ma non c’è ancora nulla di organizzato. L’8 maggio abbiamo in programma un grosso concerto ad Atene e poi abbiamo diverse esibizioni da fare nei vari festival estivi. Sarà un grande anno per noi.

Confesso che non vedo l’ora di sentire live brani come Bloodthirsty”, “Apokathilosis”, “Lies”, “No More Than Illusion” o la spettacolare “Atheist”. Quando verrete a suonare in Italia?
Saremo a Bologna il 19 gennaio durante il tour con i Kataklysm e sappiamo che voi ragazzi ci sarete. Abbiamo sentito molto parlare dei nostri fratelli italiani e vogliamo scoprire da soli se il pubblico italiano è davvero pazzesco come si dice in giro. Vi aspettiamo all’Estragon di Bologna sotto il palco! Saluti.

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THE CASUALTIES - We Are All We Have

Side One Dummy - 2009
Punk/Oi! (Rancido)
Da 1 a 10: Ohi ohi ohi (4)

Articolo di: cece

Dico la verità, se non mi fosse capitato questo cd tra le mani avrei dato i “The Casualties” per dispersi o quantomeno sciolti, pare invece che sarò costretto a ricredermi di fronte alla realtà dei fatti, perché i quattro newyorkesi continuano a macinare musicaccia dal lontano 1990 dimostrando che un vero punk invecchia da punk.
Sempre sotto Side One Dummy Records, esce il loro settimo capitolo “We Are All We Have”, un ulteriore passo nel lunghissimo cammino della scena old-school di NY City.
Come credo di aver lasciato presagire, oltre al look, i The Casualties non hanno intaccato minimamente il loro sound, anche perché sinceramente e con un po’ di cattiveria, non credo ne sarebbero capaci.
Fatto sta che oggi, a differenza di dieci/quindici anni fa, un album come questo non serve praticamente a niente. Voce roca, suoni distorti e grezzi, melodie non melodiche, qualche inserto ska e tanto fiero e passionale fracasso fanno di “We Are All We Have” un disco da strada, da ghetto underground, insomma uno come altri 1000; ascoltare il singolo “War Is Business” per intendere.
D’accordo che le radici del Punk-Oi! sono extra solide e permanenti ma continuare a fare i vice Rancid quando anch’essi sono progrediti, non mi sembra un valido motivo per tenere alta la cresta.

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giovedì 3 dicembre 2009

PITBULL TERRORIST - La rivolta ha inizio








Intervista a: Pitbull Terrorist
di: Davide Pozzi

Hanno i volti coperti, poche sono le note biografiche sulla loro vita. Tutto quello che è ben chiaro sono le loro intenzioni bellicose nei confronti del sistema e non solo quello musicale. Rabbia, violenza e follia sono le parole migliori che descrivo i Pitbull Terrorist e la loro musica. Di seguito una breve ma significativa intervista ad uno dei membri della band.

Ciao ragazzi, come vanno le cose?
Al solito grazie. Stiamo organizzando scioperi e altra merda!

Sta per uscire il vostro album “CIA”, cosa volete dirci al riguardo?
L’atmosfera dell’album è aggressiva: è malato, austero, stimolante, preoccupante e inquietante. Sarete sorpresi da esso.

Qual è il vostro messaggio?
Noi non abbiamo intenzione di dare risposte alla gente. Ci poniamo delle domande. Usando altri termini: tutti noi abbiamo della merda nei nostri pantaloni, noi non siamo quelli che vengono a pulirti il culo, siamo quelli che vengono a dirti che si sente puzza di merda. Ascolta e impara.

Come mai la scelta di utilizzare la musica per divulgare le vostre idee?
La musica è un linguaggio universale. In questo modo possiamo avere più alleati che in qualsiasi altra maniera.

Com’è nata l’idea di creare i Pitbull Terrorist?
Noi quattro ci siamo seduti ad un tavolo per cercare di capire qual era il piano migliore per portare avanti i nostri piani. Così venne fuori l’idea di usare la musica, ovviamente aggressiva, per divulgare il nostro messaggio. E qui ci troviamo ora, pronti per la fase successiva. Sentirete parlare di noi.

Come mai la decisione di chiamare l’album “CIA”?
Perché no? Avevamo diverse opzioni per il titolo, ma questo si adatta meglio ai nostri scopi.

Chi è l’autore dei testi dei Pitbull Terrorist?
Dietro i testi dei nostri brani ci sono le idee di tutti noi.

Come possiamo definire il vostro sound?
La nostra etichetta ci definisce Terror Thrash, ma per noi è solo un tentativo di etichettare e schematizzare la nostra musica. Ascolta e impara.

Quali sono le vostre influenze musicali?
Potete scoprire le nostre influenze ascoltando la nostra musica, non c’è bisogno di elencarle qui.

Avete in programma un tour?
Per adesso non dico nulla. Verrete informati al momento giusto.

Quali sono gli immediati progetti futuri?
Questo è il nostro progetto futuro. C’è molto che deve ancora venire. Aspetta e vedrai.

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DETHKLOK - Dethalbum II



Williams Street Records - 2009
Death Metal (virtuale mica vero)
Da 1 a 10: quando arriverà la scritta game over? (5)
Articolo di: Davide Pozzi

Secondo capitolo per il progetto virtuale Dethklok. Giochino nato diversi anni fa dalla mente di Brendon Small e Tommy Blacha. Se qualcuno di voi non conoscesse la storia che tanto è piaciuta negli States (esiste qualcosa che non piaccia agli americani?) vi rimando alla aggiornatissima e completissima pagina di wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/Dethklok dove si spiega il progetto e la storia dei singoli personaggi (membri della band) che fanno parte dei Dethklok.

Dal punto di vista musicale, che poi è quello che interessa a noi, Brendon Small ci offre il più classico dei death metal. Così com’era accaduto nel capitolo precedente, i brani proposti, ben dodici, risultano abbastanza scontati e spesso simili l’uno all’altro, il che rende questa band virtuale da un lato dannatamente umana (in quante occasioni ci siamo trovati a parlare di band che presentano brani fatti con lo stampino) dall’altro abbastanza noiosa, specialmente perché mantenere alta l’attenzione fino alla fine del disco è davvero un’impresa ardua. E’ piuttosto lampante che tutto quello che sta dietro al progetto di MR. Small è più importante e più curato della parte musicale; che non a caso è divenuto famoso più per il fatto di essere il creatore di una band virtuale che per il sound che propone. Ovviamente i Deathklok vanno presi come un gioco e come tale vanno trattati, finita la voglia di giocare si spegne e si passa ad altro, che poi è proprio quello che farò io immediatamente e che consiglio di fare anche a voi.

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LIQUID GRAVEYARD - On Evil Days



My Kingdom Music - 2009
Metal? (Ancora non sono riuscito a capirlo)
Da 1 a 10: poco convincente (5)
Articolo di: Davide Pozzi

Dici John Walker e subito gli appassionati death metal balzeranno dalla sedia in preda a spasimi e ansiosi di sapere quali nuove perle death metal il noto ex chitarrista/cantante dei Cancer abbia confezionato. Dici John Walker e tutti quelli che di death metal ne masticano poco o per niente ti diranno “Chi cazzo è questo tizio?”. Ebbene per mettere le cose in chiaro fin da subito, vi dico che stiamo parlando, come anticipato poche righe fa, dell’ex chitarrista/cantante della death band britannica Cancer, che tanta rabbia musicale partorirono negli anni novanta, tanto da meritarsi la stima e il sostegno di moltissimi estimatori del genere sopra citato.

Sciolti i Cancer definitivamente nel 2006, mr. Walker mette in piedi i Liquid Graveyard, band di difficile collocazione, a cavallo fra il progressive metal, il death e persino qualcosa di gothic; insomma niente di più lontano da quanto fatto sentire in passato. Fin dalle primissime battute si percepisce la grande voglia di John Walker nello sperimentare ed esplorare territori mai neppure immaginati; è così che fra duetti vocali, melodie varie e riff abbastanza inusuali, per il protagonista che li sforna, prende forma il sound dei Liquid Graveyard. Non nego un notevole stupore misto a sconcerto che si prova durante l’ascolto di questo “On Evil Days” e detto sinceramente lungo i cinquanta interminabili minuti nei quali si districa quest’album non sono mancati gli sbadigli e diverse imprecazioni, specialmente in certi passaggi vocali troppo gothic per essere veri. Probabilmente qualcuno (forse si era capito ma non sono fra questi) potrà anche apprezzare il cambio di stile di John Walker; evidentemente si è dimenticato o non conosce per nulla quello che il chitarrista ha fatto nei grandi Cancer.

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mercoledì 2 dicembre 2009

IN TORMENTATA QUIETE - Teatro Elementale



My Kingdom Music - 2009
Metal - Folk (ma anche teatrale, oserei dire!)
Da 1 a 10: Più che valido (7,5)
Articolo di: Martina d'Errico

Difficile catalogare sotto un "genere" musicale una proposta particolare come quella dei bolognesi In Tormentata Quiete, che hanno deciso fin dall'inizio della loro carriera di mescolare sonorità metal e cantati scream con arpeggi folk e inserti praticamente recitati. Il teatro infatti, come da titolo, è il tema dell'ultimo disco; il teatro visto poi come la vita stessa, in cui noi tutti siamo attori che recitano una parte.

L'album è articolato in 15 tracce, di cui 7 sono brevi monologhi dove di volta in volta ci viene raccontato qualcosa su argomenti come i sogni, il senso della vita, la pazzia.. Per il resto i pezzi, tutti cantati in italiano, si snodano come già accennato tra cavalcate metal e dolci schitarrate folkloreggianti; inoltre sono tutti dotati di un'alta carica drammatica, acuita dai monologhi recitati tra l'uno e l'altro.Esempi più lampanti della dualità dell'anima del gruppo sono brani come "Del Mare Alla Luna", che comincia con una melodia suadente, per poi sfociare in sonorità più metal con tanto di cantato in scream, oppure "Il Canto Del Mare". Da notare fra l'altro la ricorrenza di elementi della natura nei titoli delle canzoni.Le linee guida del disco sono queste, la qualità è ottima, non vi resta che ascoltarlo per giudicare voi stessi!

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LOADSTAR - Calls from the Outer Space



UK Division Records - 2009
heavy/speed metal
Da 1 a 10: l'essenza degli Iron Maiden (8/10)
Articolo di: Maurizio Mazzarella

E giunse il momento dell'esordio. Vengono dalla Campania questi Loadstar, più precisamente dalla città di Napoli e sono attivi per l'esattezza dal 1985. Dopo aver pubblicato ben cinque demo, ecco arrivare sul mercato discografico il loro primo vero album, ovvero questo eccellente "Calls from the Outer Space". Ascoltando il disco, la prima cosa che viene alla mente è il perché una band di così tanto talento sia riuscita ad esordire solo adesso. Misteri di un mercato discografico che non finiesce mai di stupire in negativo, perché i Loadstar nonostate questo sia il loro primo disco, hanno sfornato una autentico capolavoro. Siamo nel campo dell'heavy/speed metal, dove la band campana mostra diversi punti in comune con i migliori Iron Maiden, evidenziando la forta influenza della band di Steve Harris sia dai primi lavori con Paul Di Anno, passando per i classici con Bruce Dickinson, la cui impronta in questo caso è molto forte, fino a giungere ai lavori più recenti, dove è negli strumentali più complessi che ne viene fuori un magnifico parallelismo. Attenzione però, qui non stiamo parlando di una band clone degli Iron Maiden, perché i Loadstar mostrano una fortissima personalità, una notevole preparazione tecnica ed uno spessore artistico di notevole livello. Questa band è completamente padrona dei propri impeccabili componimenti, che attraversano in modo efficace tutto l'heavy metal degli anni ottanta, spaziando anche verso territori più thrash, echeggiando i migliori Metallica, quelli di "Master Of Puppets" o "Ride The Lighting" per intenderci, oppure i Megadeth più complessi ed incisivi, ovvero quelli di "Rust In Peace". Siamo di fronte quindi ad un disco ben risuscito, che giova di una pregevole produzione che dona ai singoli pezzi un suono molto attuale e che gode di un impatto molto forte, rendendo tutto il disco facile d'assimilare anche ad un primo ascolto a prescidere dai tanti preziosismi tecnici presenti. "Calls from the Outer Space" scorre in modo fluido e dinamico e si lascia apprezzare dalla prima all'ultima nota e conseguentemente, se amate queste sonorità, non potete lasciarvi scappare questo disco assolutamente eccellente.



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lunedì 30 novembre 2009

RAISED FIST - Veil Of Ignorance

Burning Heart - 2009
Hardcore/Punk (d'assalto
)
Da 1 a 10: la legge sono loro (8)

Articolo di: cece

Siccome i Raised Fist non hanno bisogno di presentazioni mi limito a scrivere, per dover di cronaca, che questo quintetto svedese è sicuramente il gruppo europeo più rappresentativo e storico della scena hardcore mondiale e, ve l’assicuro, c’è da esserne fieri. Esperti sul campo, grazie ad un percorso che ebbe inizio nel lontano 1993, i Raised Fist, forti di un solido contratto con la connazionale Burning Heart Records, giungono oggi al settimo album innescando, per l’occasione, una vera e propria bomba Hardcore-Punk capace, una volta esplosa, di offuscare persino il loro passato (non me ne vogliano i fan più datati).
“Veil Of Ignorance” infatti è un vero e proprio assalto alla musica, duro, fiero, viscerale, potente e aggressivo.
E’ incredibile come questa band che oserei definire immortale riesca, dopo tanti anni, addirittura a rafforzarsi e ad acquisire maggiore forza e determinazione, tali da poter ingannare il tempo migliorando la loro musica e le loro prestazioni.
Le tredici canzoni di “Veil Of Ignorance” sono tutte, e ripeto tutte, delle sfuriate devastanti e micidiali a partire dal singolo iniziale “Friends & Traitors” passando per momenti più riflessivi “Wounds” e “My Last Day”, mantenendo, fino all’outro conclusiva, un livello qualitativo altissimo, con tanto di rabbia e passione a secchiate.
In un tempo in cui l’hardcore sembra aver smarrito la sua strada, i Raised Fist decidono giustamente di dargli le più chiare indicazioni dettando quella che è sicuramente la miglior guida del 2009.

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venerdì 27 novembre 2009

THE 69 EYES - Intervista Col Vampiro

Intervista a: Jyrki 69 (voce)

Di: Martina d'Errico  

I vampiri finlandesi sono tornati con un disco che torna alle loro origini rock'n'roll, mischiandole con l'esperienza gotica della band, producendo un mix letale e orecchiabile. In attesa di vederli dal vivo anche in Italia, e mentre ascoltate l'ultimo album, gustatevi questa intervista al vocalist Jyrki "69" Linnankivi.


1.Possiamo dire che con "Back In Blood" state aprendo una nuova era, dopo quella conclusasi col box set?

Precisamente! In generale il suono e il sangue rimangono gli stessi, ma c'è qualche forte influenza losangelina per farli rockeggiare di più!

2.Di quali argomenti parlate in questo album?

E' tutto riguardante i vampiri. Cos'altro c'è di interessante al mondo?

3.Da dove viene la vostra ispirazione? Che metodo utilizzate per scrivere le canzoni?

All'inizio, quando scrivevo le prime canzoni con i testi incentrati sui vampiri, mi sono accorto che ero totalmente preso da questo tema, così mi sono circondato di tutte le novità concernenti queste creature della notte - per aggiornarmi!

4.Avete appena firmato con la Nuclear Blast. Come mai avete scelto questa casa discografica e come sta andando la collaborazione?

La Nuclear Blast ha fatto uscire il nostro box set, "Goth'n'Roll", e ha fatto un grandissimo lavoro nel promuoverlo. "Promozione" è la parola chiave di questi tempi; la musica è quella che parla e dimostra le tue capacità, ma le persone hanno bisogno di sapere che tu esisti!
La Nuclear Blast ci ha rimessi in primo piano.


5.Usate molto Internet per comunicare coi vostri fans. E' utile per ricevere riscontri sul vostro lavoro e su quello che la gente ne pensa?

Onestamente cerco di evitare la rete dato che non ho il tempo che dovrei dedicarle. Immagino che dovrei aggiornare spesso il blog ma non ne ho tempo - vivo e faccio rock nel mondo reale. I fan sono sempre affamati di notizie, così come Renfield lo è di scarafaggi e mosche (naturalmente citazione da "Dracula" di Bram Stoker - nda) e facciamo del nostro meglio per tenerli aggiornati. Facciamo questo per i nostri fan, sono loro i nostri capi, ma per mantenere tutto interessante ed eccitante vogliamo sorprenderli con cose nuove ogni volta. Quindi vederli ai nostri spettacoli o comprare i nostri dischi è il modo per comunicare al livello più alto.

6.Cosa puoi dirci di un prossimo tour? Vi vedremo dal vivo?

Andremo in tour prima negli Stati Uniti, quindi in Finlandia e infine in Europa. Non vediamo l'ora di suonare dal vivo per voi, gente!

7.Jyrki, collabori ancora con l'UNICEF? Cosa stai facendo per loro al momento?

Sì, sono un Goodwill Vampire! Il prossimo impegno sarà in Novembre, visiterò l'Habbo Hotel per l'evento dell'UNICEF. Ci vediamo là!

8.I vampiri hanno sempre avuto un ruolo molto importante nella vostra musica e immagine. Cosa ne pensi di film come "Twilight" o "Lasciami Entrare"?

Mi piacciono entrambi! Rappresentano una nuova generazione di esseri con le zanne. I 69 Eyes ovviamente devono di più alla generazione di Christopher Lee e degli anni '60 e '70, ma abbiamo anche bisogno di sangue fresco, così la nuova scena è la benvenuta!

9.Dicci qualcosa sul regista e la storia del vostro nuovo video, "Dead Girls Are Easy".

Il video è stato girato dal solo e unico Bam Margera. Ha fatto il video "Lost Boys" con noi cinque anni fa, così questo è stato come un seguito. La trama è molto anni '80, rifacendosi sia ai video degli ZZ Top che a quelli di Michael Jackson - puro divertimento!
L'abbiamo girato in un weekend molto fico a West Chester (PA, USA) e le ragazze morte si sono rivelate molto belle e facili ;-)


Grazie per aver risposto alle nostre domande.
Blessed Be!


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RESURRECTURIS – Non Voglio Morire


Casket - 2009
Morte Metal
Da 1 a 10: Sa il fatto suo (8)
Articolo di: Michele Marinel

Lo ammetto, non avevo mai incontrato sulla mia strada i Reurrecturis, e leggere nelle note biografiche che questa sarebbe una delle band capostipiti del death italiano mi aveva fatto alzare un sopracciglio per la perplessità. Sarà che la scena death italiana, pur vantando band di ottima caratura, non ha mai avuto più di tanti riscontri? Chissà.

Veniamo ad ogni modo all'album. Il disco si apre come una bordata death metal d'altri tempi, di quel death metal duro e coriaceo, ma anche grasso e a tratti melodico, che ha fatto della scuola europea un capitolo a se stante rispetto ai padri americani.
Riff quadrati, veloci e senza fronzoli lasciano spazio a partiture solistiche melodiche e di buon gusto. Niente funambolici virtuosismi da primi della classe, ma di classe è quel tocco modesto eppure curato che i Resurrecturis hanno, e tante altre band no.
Sorprendono e piacciono i brani intermedi del disco che aprono a influenze diverse, alla struttura verso-growl/ritornello-pulito che rimanda al moderno metalcore (ma filtrato attraverso una sensibilità da vecchia scuola) a svisate dal sapore marcatamente thrash che riprende alcuni elementi che hanno caratterizzato il sound dei Metallica dei tempi d'oro. Un sound ruvido ma allo stesso tempo studiato, che si apre e si chiude su se stesso quasi come se respirasse, un esempio di come si possa fare death metal con gli orizzonti aperti ma senza vendersi o scopiazzare, rifacendosi a chi c'è stato prima ma mettendoci del proprio, che è quello che fa la differenza.Certo la voce di Carlo Strappa non è eccelsa, ma fa il suo degno lavoro nelle parti più aggressive mentre proprio certe imperfezioni rendono più gustose e meno scontate le parti pulite. La produzione è buona ma non stratosferica ma, secondo il modesto parere del sottoscritto, questo è un punto a favore quando si parla di metal estremo, e non il contrario.
In conclusione Non Voglio Morire è un disco maturo, godibile ma soprattuto vario ed interessante. Ottima prova.

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giovedì 26 novembre 2009

SETTLE - At Home We Are Tourists

Epitaph - 2009
Indie-Rock (Elettroshock)
Da 1 a 10: Allacciate le Cinture (6)

Articolo di: cece

Quando ci si imbatte in gruppi come i Settle, sempre in bilico fra due o più generi, sperimentali all’inverosimile e maturi sotto ogni punto di vista, non si capisce mai con chi si abbia realmente a che fare: geni incompresi o semplicemente musicisti confusi? In questo caso la risposta, tanto per confonderci ancora di più le idee, sta nel mezzo.

Con “At Home We Are Tourists”, debutto sotto Epitaph Records nonché secondo album sulla distanza dopo un anonimo disco autoprodotto, i quattro ragazzi della Pennsylvania si avviano ad una carriera fatta di sperimentazione, passione, innovazione e tanto sano Rock’n’Roll.
Comprendere un disco come “AHWAT” significa fare un salto in dietro nel tempo di una ventina d’anni circa, in quella scena underground praticamente concepita per soli nerd, che fu parte integrante storia dell’Emo di prima ondata (Q And Not U, Weezer), per poi fare subito un salto ai giorni nostri giustificando così l’uso del synth e di tutta la parte Indie-Rock (ultimi Brandtson, Franz Ferdinand).
Se è impossibile catalogare i Settle come genere è altrettanto facile attribuire loro le più svariate etichette, con loro ci si può tranquillamente sbizzarrire quindi, togliendomi una soddisfazione da critico/recensore, gli affibbio subito il mio elenco definendoli Alternative Indie-Rock/Emo-Punk/Elektro-Dance Pop e, credetemi, sono stato abbastanza sintetico.
In conclusione ritengo opportuno, vista la facilità con cui ci si può perdere durante l’ascolto dell’album, segnalare quelli che secondo me sono gli episodi più significativi, anche se il parere personale in questa occasione potrebbe indicarvi la strada più complicata: inizierei con la più “facile” ed immediata “Murder” per poi proseguire con “Affinity For My Hometown”, “I Saw An Inferno Once”, concludendo con l’elettronica “Naked At A Family Function”. Per chiunque avesse voglia di provare qualcosa di veramente alternativo consiglio invece l’intero disco “At Home We Are Tourists”, buon viaggio.

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VEHEMENT – All That's Behind


My Kingdom - 2009
Thrashone testamentario
Da 1 a 10: La vecchia scuola ha sempre ragione (7)
Articolo di: Michele Marinel

Pare che la nostrana My Kingdom si sia data una bella scossa e dopo gli ottimi Symbolic, pubblica anche i veronesi Vehement.
Il verbo sono di cui si fanno alfieri i nostri è quello del thrash metal, il cui revival non è mai stato così in voga come in questo periodo. Un'operazione ruffiana allora? No, niente affatto.

Dai solchi di questo debutto trasuda onestà e convinzione e un gusto per l'impatto violento ma ragionato figlio di lunghi ascolti di thrash del periodo a cavallo tra gli 80 e i 90. In particolare ascoltando i pezzi di questo All That's Behid tornano in mente i Testament vecchia maniera magari non quelli più funambolici ed eclettici, ma sicuramente la band di Chuck Billy è uno dei principali riferimenti dei Vehement.
La band veronese comunque riesce a delineare una propria personalità, seppur limitata dai canoni di un genere inteso nella sua maniera più tradizionale. Ottimi riff si associano a buoni assoli, sostenuti da una sezione ritmica compatta e precisa. Andrebbe invece migliorato il cantato, davvero sotto tono. Un album musicalmente ben suonato e ben concepito, in cui le partecipazioni di svariati guest sono dei cameo che impreziosiscono l'opera e non dei meri riempitivi come capita troppo spesso.
Un plauso va alle due asce, Filippo Buzzi e Davide Girardi, la cui intesa è pressochè perfetta.
In questo disco troverete tutto quello che potete aspettarvi: stop and go, rallentamenti ed improvvise accelerazioni, violente bordate ed aperture melodiche. Certo forse non tantissime sorprese, ma un sacco di buon thrash.

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mercoledì 25 novembre 2009

W.E.T. - Wet


Frontiers - 2009
AOR
Da 1 a 10: Commento (6)
Articolo di: Maurizio Mazzarella

Questi W.E.T. non sono altro che un progetto studiato del tutto a tavolino e che uscisce tre grossi artisti del calibro di Robert Sall dei Work Of Art, Erik Martensson degli Eclipse ed il noto Jeff Scott Soto meglio conosciuto per la sua militanza nei Talisman ed ancor di più per il suo passato con il mitico Malmsteen.

Essendo quindi questo un prodotto commerciale, a livello di sonorità vedendo i musicisti coinvolti, viene facile capire a cosa ci troviamo di fronte, ovvero ad un disco di puro e semplice hard rock di stampo completamente melodico e dalle tinte A.O.R., con trame scontate e facilmente prevedibili. Questo "Wet", è quindi un disco dai contenuti semplici, che gode di un buon impatto e che risulta ampiamente facile da assimilare, tanto che basta un primo ascolto per comprenderlo fino in fondo. I contentuti tecnici sono assolutamente egregi e la produzione per dischi come questo, non può che essere impeccabile, puntando su un suono pulito ed anche all'avanguardia. A livello di componimenti, le influenze sono impostate su band come Journey, Whitesnake ed anche Survivor soprattuto nella parti più commerciali. Le canzoni nel complesso sono buone e giovano della grande professionalità dei musicisti coinvolti, anche se come in ogni disco ci sono episodi che prevalgono su altri, "Wet" infatti parte bene, con le prime canzoni che si dimostrano di un livello che va ben oltre la media generale, ma successivamente si perde nella monotonia del già sentito, perché alla fine di prodotti come questi in giro ce ne sono un'eternità e fondamentalmente i W.E.T. non scoprono nulla di nuovo. Disco quindi consigliato esclusivamante ai fruitori di queste sonorità.

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martedì 24 novembre 2009

RUSSIAN CIRCLES - Geneva

Suicide Squeeze - 2009
Post-rock, Post-metal, Progressive
Da 1 a 10: (7)
Articolo di: Enrico De Domeneghi

Signori, siamo seri. Affacciarsi a questi suoni comporta oggi un grosso rischio. Il post-metal -e rimaniamo il più larghi possibile sulla definizione-, rasenta ormai la saturazione, e il pericolo 'Formula', l'omologazione dilagante, sono dietro l'angolo. Nel panorama attuale le proposte di una certa rilevanza stanno rivestendo un ruolo sempre minore -vedi gli ultimi Callisto- e questo è ovvio indice di un genere musicale prossimo alla stagnazione. Quando anche le band apristrada si inzaccherano è facile notare come ogni schizzo prodotto non sia altro che lo stesso fango sotto altro nome. Le 'nuove band'. Il solito vecchio fango.

Al lato opposto, quello di chi sa ancora farsi notare, ci sono tra gli altri i Russian Circles. Cugini dei Pelican non solo geograficamente (entrambe le band sono di stanza a Chicago, nda), anche i nostri puntano tutto sulle lunghe progressioni strumentali, tenendo comunque alta la bandiera della ricerca sonora. Le tinte offerte in 'Geneva' sono piuttosto varie, a cavallo tra due coordinate più o meno riconoscibili: quella più post-core di Isis e Cult Of Luna, l'altra vicina al post rock più attuale, quello di Explosion In The Sky, Mogwai e God Is An Austronaut. I tre, che annoverano tra le fila certo Brian Cook, un ex-Botch, hanno aperto ai Tool nel tour inglese di due anni fa, e arrivano da una buona gavetta nel sottobosco afono di Chicago. Anche i Dakota/Dakota, infatti, band in cui militavano precedentemente Mike Sullivan e David Turncrantz, erano un collettivo fieramente privo di voce.
Reduci dal buon 'Enter', la band dell'Illinois dimostra buona scrittura e profondità espressiva, mettendo assieme una scaletta dinamica e intelligente, che fa leva su elementi consolidati nel genere (intrecci d' archi, crescendo-nda), quanto su una personalità ben marcata. Chitarre in tapping e inserti di fiati sono cose che non ti aspetteresti dai Russian Circles, almeno non dopo essere passato per brani come 'Philos' o 'Melee', forse le due migliori prove per il lato più atmosferico ed introspettivo del gruppo. Molto bello il rallentamento ai 3 minuti e mezzo del secondo brano, con un potente riff archi-chitarre a guidare che riporta alla mente i Sigur Rós. E' però la sezione ritmica a farla da padrone in altri pezzi, con un basso potente dagli ottimi suoni e una batterria che spesso perde il ruolo di strumento di accompagnamento per assumere la centralità del brano. Da 'Malko', ad esempio, esce tutta la ruvidezza dell'influenza sludge a stelle e striscie, la stessa che si respira a livello di suoni tesi e sotterranei nell'opener 'Fathom'.

Il fatto è che all'ascoltatore viene in realtà chiesto di comprendere la prospettiva complessiva del tessuto sonoro di 'Geneva' che parte ma non finisce nei singoli mood che i musicisti attraversano. Per poterne intravedere la filigrana, l'unità nel composito e viceversa, come in un Mandhala buddhista. E forse quello che più colpisce è che, pur privi di vocals e consci di aver scelto a priori la via dell'incomunicabilità, i Russian Circles creano comunque sostanza e contenuti. Il linguaggio sarà traducibile solo da una prospettiva soggettiva, certo, sarà limitato al punto di vista dell''io-che-ascolta', ma quello che si gusta nel limbo atemporale che il disco crea è sicuramente nitido e convincente.

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lunedì 23 novembre 2009

SING IT LOUD - Come Around

Epitaph - 2008
Pop-Punk (trallallà)
Da 1 a 10: Easy Listening (6)

Articolo di: cece

Quando a fine 2008 lessi la notizia che la Epitaph Records arruolò tra le sue fila una pop-punk band, subito mi fiondai nella loro pagina myspace per sbirciare e capire chi fossero di preciso i Sing It Loud e, nonostante il piccolo inconveniente che per ascoltare qualcosa del loro repertorio bisognasse aspettare qualche settimana (erano presenti solo alcune demo), compresi subito, dal layout, dai vari loghi e soprattutto dalle foto del gruppo, ciò che questo quintetto del Minnesota aveva in serbo per noi.

Colori sgargianti, scritte a caratteri cubitali, fluorescenti e rotondeggianti contornavano le foto patinate di cinque teen-agers con tutti i cliché del momento: dal capellone belloccio alla voce, al tastierista di colore con occhiale fashion (vedi Plain White T’s e Huston Calls). Attivi solo dal 2007 e con appena una decina di show alle spalle, nemmeno a loro pareva vero di poter realizzare un album con l’aiuto del produttore-chitarrista dei Motion City Soundtrack Josh Cain e con Mark Trombino in fase di mixaggio; l’esito di questa operazione, battezzata “Come Around” viene alla luce nel settembre del 2008 e risulta essere, come da copione, una spensierata e poppeggiante collana di canzoni ultra-catchy e di facile apprendimento. Il disco si lascia ascoltare piacevolmente donando, senza troppe pretese, una ricca dose di ritornelli power-pop di quelli impossibili da cancellare dai ricordi (su tutte la titled track “Come Around”), di immancabili coretti melodici e con l’aggiunta dell’inserto vocale di Alex Gaskarth degli All Time Low in “No One Can Touch Us”. A mio parere “Come Around” è un album da apprezzare soprattutto per la sua simpatia e per la produzione più che discreta, si consiglia inoltre di resistere fino ad almeno fine maggio per poterne sfruttare in pieno le caratteristiche.

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SVARTBY - Riv, Hugg Och Bit



Phono Records - 2009
Symphonic/Folk Metal (fra streghe e folletti)
Da 1 a 10: Passo indietro, spento (5)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Dopo un disco d'esordio simpatico e divertente ("Kom I Min Kittel") mi aspettavo decisamente di più dagli Svartby e dal loro symphonic/folk metal in chiave fantasy. Abbiamo ancora per le mani corse sfrenate guidate dalla batteria di Fenrir, imprescindibili tastiere giocose e ritmi danzerecci ma il complesso non colpisce come la prima volta ed anzi annoia dopo non molto.


La ricetta compositiva infatti raramente si fa degna di nota ("Solens Ljus"), talvolta addirittura caotica ("Trollkarlar Av Dvärgfolk") e non è sufficiente "mostrare i denti" pestando duro con un riffing più tosto ("Kvävande Gruvor") o con un growl profondo per colpire il bersaglio. I quattordici pezzi scorrono così uno dopo l'altro senza lasciare il segno cavalcando melodie già note o semplici atmosfere folcloristiche.
Se nel caso di una prima prova in studio si è sempre più indulgenti per quanto riguarda errori e sbavature, questa volta è impossibile soprassedere sulla considerazione che "Riv, Hugg Och Bit" segni un arresto deciso del cammino degli Svartby, il cui rischio maggiore è quello di rimanere impantanati fra la miriade di uscite del mercato di un filone ormai "sverginato".

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