lunedì 31 maggio 2010

SLASH – Slash

Roadrunner - 2010
Rock'n'roll (con l'alzheimer)
Da 1 a 10: Bleah! (4)
Articolo di: Michele Marinel

Anche se in ritardo non era possibile prescindere dal recensire questa uscita del "fu" chitarrista dei Guns'N'Roses, probabilmente le ultime vere star della storia del rock. E' certo imprescindibile parlare del primo album solista di Slash quanto è imprescindibile essere onesti e dire le cose come stanno, come nessuno pare avere il coraggio di dire: questo disco è un'emerita cagata!

Tredici pezzi di rock'n'roll senza più grinta né verve, che per suscitare qualche interesse devono costellarsi di ospiti illustri, ma né l'ormai mummifico Ozzy, o i bad "boys" Iggy e Lemmy (se mi chiedete i cognomi vi sputo!) possono salvare un disco in cui, sostanzialmente, mancano le canzoni, anche se i succitati singer si aggiudicano probabilmente gli unici tre pezzi degni di nota del disco.
Una serie di riff rock blues, con qualche incursione nel folk-country americano e una divagazione pseudo metal che è meglio dimenticare, ci consegnano uno Slash ormai spompato, che brilla ormai solo negli assoli, sempre gustosi.
C'è da dire che il Nostro non è mai stato, per davvero, un grande guitar hero, la sua forza è stata, agli esordi, la capacità di scrivere pezzi trascinanti, che hanno segnato la storia del rock, una forza però che probabilmente era data da una speciale alchimia con l'amico-nemico Axl Rose. Alchimia che si è spezzata all'epoca e che, divisi, Rose e Pistole non hanno saputo ricreare, tant'è che negli ultimi 17 anni ci siamo sorbiti la medicorità di Slashes Snakepit prima e Velvet Revolver poi, mediocrità culminata quest'anno con questo disco solista di Slash da una parte e l'attesissimo, quanto pessimo, "Chinese Democracy" dall'altro.
Delusione totale.


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sabato 29 maggio 2010

GROEZROCK 2010 - Meerhout, Belgio - 23/24 Aprile

Articolo di: cece



Se dal 1992 allo scorso anno il Groezrock (Meerhout, Belgio) si era guadagnato il titolo di miglior festival HC, punk-rock, emo, alternative d’Europa; quest’anno è stato votato, attraverso la rete web, addirittura come miglior festival mondiale. E’ anche questo un buon motivo per tornare a curiosare, partecipare e a documentare il grande evento anche perché, va detto, di carne al fuoco in questi due giorni d’aprile ce n’è davvero tanta, vedere per credere:

Venerdì 23 aprile:
Hatebreed, Face To Face, The Mighty Mighty Bosstones, Saves The Day, Sunny Day Real Estate, Glassjaw, Agnostic Front, Banner Pilot, Alesana, The Real McKenzies, The Friday Night Boys, Haste The Day, This Is Hell, A Skylit Drive, The Swellers, Adept, Oh Sleeper, Young Guns, Grey Like Masquerade

Sabato 24 aprile:
Bad Religion, Sum 41, Pennywise, AFI, Lit, Story Of The Year, Parkway Drive, The Bouncing Souls, 88 Fingers Louie, H2o, The Bronx, Snapcase, The Aggrolites, Good Clean Fun, Born From Pain, Strike Anywhere, Despised Icon, A Wilhelm Scream, Zebrahead, Mustard Plug, Dance Gavin Dance, Winds Of Plague, Rise And Fall, Strike Number 8, Pour Habit, Mute, The Warriors, Stick To Your Guns, Static Radio, In Fear And Faith, Defeater, 50 Lions, Asking Alexandria, Miriachi El Bronx, Mc Lars.

La scaletta, suddivisa su tre palchi, accontenterebbe chiunque, di qualsiasi età, preferenza musicale, genere e generazione, peccato che il 2010 verrà ricordato dai posteri come l’anno del “risveglio dei vulcani”. Fatto sta che, per colpa delle forze della natura scatenatesi nella non così lontana Islanda e del conseguente blocco dei voli da parte di tutte le compagnie aeree esistenti, alcune band hanno dovuto rinunciare allo show proprio il giorno prima del festival. Ma anche questa è storia… I nomi ahimè erano davvero importanti anche perché un concerto dei Saves The Day era e resta tuttora uno dei miei più grandi sogni nel cassetto.
Per quanto riguarda gli altri assenti, lacrime anche per l’assenza dei Sunny Day Real Estate, da segnalare anche l’impossibilità di giungere in Belgio per Hatebreed, Oh Sleeper e Stick Your Guns. La missione di tamponare questa la ferita è stata affidata a Millencolin (la notizia renderebbe felice anche chi non li conosce), Holding Onto Hope, Caliban e The Ghost Of A Thousand. A conti fatti, con o senza l’intervento del vulcano, questa edizione fa sicuramente meno gola della precedente ma la voglia di Groezrock è sempre alle stelle quindi ci mettiamo in marcia senza indugio.

Day 1:
Dopo 13 ore di autostrade e percorsi che solo il Belgio nel bene e nel male può offrire resta qualche ora di tempo per piazzare le tende e riposare qualche ora prima d’inoltrarsi nel grande circo. Detto - fatto, sono le ore 17.00 quando, riconosciuti come la “Italian Press”, ci presentiamo puntualissimi, tra volti più o meno noti, al grande evento.
A tagliare il nastro dell’edizione Groezrock 2010 sono i The Swellers la cui esibizione risulterà infine una delle migliori dell’intera manifestazione, carichissimi, davanti ad un pubblico già a quell’ora vasto e sorprendentemente entusiasta davanti a degli esordienti (primo tour europeo della loro carriera), per saperne di più rimando i lettori all’intervista che abbiamo avuto occasione di fare loro in seguito.
Dopo l’intervista, i saluti ed i convenevoli della Press-Area, riusciamo a ritagliarci uno squarcio di tempo per fare un giro nei vari tendoni e stand di ogni tipo, dai gastronomici a quelli di abbigliamento, passando inevitabilmente per la musica. Su tutti una nota di merito va ad Etnies con i suoi due stand, i suoi gadget ed il suo staff di tutto rispetto.
Ma ora affrettiamoci a prender posto sul palco perché, anche se già visti e rivisti più e più volte, non si possono tralasciare i Millencolin, ci sarebbero intere pagine da scrivere su di loro, i concerti ed i festival ai quali hanno partecipato sono infiniti come l’affetto che si è creato attorno a loro da parte di tutti, pubblico e gruppi, li hanno chiamati all’ultimo, ancora una volta hanno fatto scuola, toccata e fuga vincente.
La fine dei Millencolin coincide con l’inizio degli Alesana, la sensazione che si prova è strana un po’ come mangiare un unghia di cane dopo aver mangiato una pizza calda; altro palco, altro pubblico, altra musica. Potrei spendere altre parole per gli Alesana, descrivendo ad esempio le loro movenze da impediti sul palco o la loro performance penosa senza il supporto di un produttore come in accade studio, potrei ma non voglio infamarli in fondo sono ragazzi simpatici, un po’ ingenui ma simpatici, fanno anche un pochino di tenerezza.
Ma torniamo nel Main-Stage, i Glassjaw sono infuocati! Questi urlavano quando molta della gente sotto al palco o sopra quello affianco (vi voglio bene Alesana), erano all’asilo e strillavano per altri motivi. Prestazione davvero superba la loro, sudore, rabbia, repressione e tanto cuore.
Tra un concerto e l’altro non ho ancora trovato il tempo per metter piede nello stage più “piccolo” Etnies-Stage, che è in realtà il più spettacolare con il palco alto poco più di un metro ed il pubblico a diretto contatto con la band e non poteva esserci occasione migliore di uno show dei Banner Pilot per confermare quest’aspettativa. Pare che il pubblico belga apprezzi molto più di noi italiani la scena punk-rock, non che io lo trovi strano, ma fa un certo effetto vedere un nuovo acquisto a mio parere semi-sconosciuto della Fat Wreck Chords, generare tanto furore e scatenare una catena di stage diving lunga quanto l’intero concerto, una favola.
Che nessuno me ne voglia ma non sono mai stato un accanito fan dei Face To Face, più che altro perché non ho mai approfondito il discorso, credo comunque che vedere una delle leggende del punk abbia sempre qualcosa da insegnare, se non altro fa curriculum. Il risultato è stato positivo, sopra le mie aspettative. Non ricordavo di conoscere così tante delle loro canzoni inoltre l’età non intacca la loro voglia di far del casino e non credo abbiano fatto un singolo errore, mi dispiace solamente non essere riuscito a vederli fino alla fine per colpa della sovrapposizione di orario con i The Friday Night Boys che mi ha costretto a tornare nel Etnies-Stage. A volte la curiosità e le aspettative rovinano un evento, ed è questo il caso dei TFNB, discreto il loro pop-punk su disco, orripilante dal vivo, scendendo brevemente nei dettagli questa è musica di facile fattura ma sono riusciti lo stesso a fare ribrezzo, mi è dispiaciuto.
Affrettandomi riesco ad assistere all’ultima mezzora per i Funeral For A Friend, questa screamo-rock band inglese non mi ha mai esaltato, non è nemmeno la prima volta che li vedo suonare ma devo constatare che la cosa mi lascia piuttosto indifferente... Punti di vista.
Ai Mighty Mighty Bosstones ai quali è affidato il compito di chiudere il primo giorno di festival, preferisco la birra belga e la mia scomoda tenda quindi per una volta sventolo bandiera bianca e cerco di ricaricarmi il più possibile per l’indomani.

Day 2:
Nonostante la stanchezza, dopo 48 ore senza riposo tra viaggio e concerti, il sabato mattina non richiede l’intervento della sveglia, a costringere tutti ad alzarsi è infatti il sole che, a differenza di quanto visto fino ad allora in Italia, ha deciso di farsi valere trasformando le tende in vere e proprie saune e distribuendo scottature e abbronzature permanenti per tutto il giorno, evidentemente madre natura ha pensato di mettere una pezza sui suoi danni.
Saltando allegramente la parte Brutal-Core del festival con Asking Alexandria, In Fear And Faith e The Ghost Of A Thousand che per altro avevo già avuto il disonore di vedere qualche settimana prima, ci presentiamo puntuali alle 12:30 in un Main-Stage non certo gremito di persone per assistere alla nostra prima scelta della giornata ovvero MC Lars. Hip-hop, rap ma anche tanto punk-rock nelle sue inusuali canzoni, per l’occasione la formazione comprende, oltre al leader MC Lars, un rapper afro-americano che canta a scheggia, un chitarrista che scratcha sulle corde della chitarra (se non avete capito cosa significa è del tutto comprensibile) ed il resto della band composta da membri degli Zebrahead (le due band erano in tour europeo insieme), il tutto condito dalle basi di un Mac a bordo palco. Il risultato è sorprendentemente positivo, le canzoni dal vivo sono ancora più godibile rispetto al disco, la sfrontatezza di quei ragazzi e la loro capacità di coinvolgere pian piano li appaga riempiendo il tendone tra rappers, punk e metallari allibiti. A lui la statuetta di concerto più divertente del festival.
Giusto il tempo per cambiare metà palco ed è il turno degli Zebrahead, la mia eccitazione nel vederli è sfumata dopo le prime tre volte e, a dirla tutta, di giocare con loro ad “abbassatevi tutti e al mio tre saltate” non avevo una gran voglia e così, retrocedendo di una trentina di metri me li sono canticchiati dalle retrovie.
Una settimana dopo la data di Cesena, ecco che mi ritrovo davanti, o meglio affianco ai Dance Gavin Dance, non ho mai perso la testa per questa band, ma gli avevo promesso la mia presenza. Precisi, tecnicamente impeccabili e potenti, è stato fantastico rivederli.
Tanto per rimanere sul “tecnico” a far sbordare di gente il tendone Eastpack-Stage ci pensano gli A Wilhelm Scream. Il loro show ha la particolarità di lasciare ad occhi aperti il pubblico dall’inizio alla fine. Veloci all’inverosimile ma al contempo precisi come un orologio della NASA; ogni volta ne esco esterrefatto, tanto che mi accorgo di essermi perso i primi 25 minuti degli 88 Fingers Loiue! Arrivato comunque in tempo per i pezzi più importanti assisto per la prima volta ad un concerto dei veterani della scena Melodic-HC made in Chicago. Dalle loro note si sente tutta l’esperienza ed il carattere di chi ha contribuito a creare un genere musicale socio-politico tanto forte da diventare una corrente di pensiero… Nonostante tutto sono ancora lì, non possiamo far altro che applaudire. La mia improvvisata organizzazione richiede una sosta per godersi sole, mexican-burger e birra ma la fase rifornimento deve essere da competizione perché mancano solo 20 minuti al momento dei The Bouncing Souls. E’ quasi un peccato vederli suonare solo tre quarti d’ora, sono troppo godibili ed hanno troppi ma proprio troppi pezzi belli per poterne tagliar fuori qualcuno, ad ogni modo con “Lean On Shena” sono riusciti a mettere d’accordo tutti, brividi e sing-along.
Arrivato il turno dei Lit vado ad accaparrarmi un posto di tutto rispetto a bordo palco per seguire da vicino, con onore, coloro che hanno posto le basi del punk-rock moderno. Raffreddate subito gli animi perché i Lit non sono come li immaginate, o forse sbagliavo io a pensare di trovarmi di fronte a dei musicisti e non dei pagliacci. Non voglio smontarli del tutto, anche perché quello che hanno fatto in passato fortunatamente resta indelebile ma vederli oggi conciati come dei pop-punkers da TRL, atteggiati e sbruffoni, mi ha a dir poco deluso. La prestazione live sembra non contare molto, tutto è incentrato sul resto, sul look e sulle coreografie composte da salti e movenze prevedibili, fastidiose e a volte impacciate. Non volevo arrivare a questo ma… Si sono bevuti il cervello.
Altra band attesissima, altra delusione; questo è il turno dei Sum 41. La band canadese nonostante la fama e la vita da star non ha mai smesso di fare buona musica toccando il suo momento migliore con l’album “Chuck” che si può definire un mini capolavoro. Ho fatto questa breve premessa per esaminare la loro recente disfatta: il successivo ed ultimo disco “Underclass Hero” non è affatto male ma lascia intuire la direzione di questo gruppo che, passato da quartetto a trio, abbandona molto del suo valore per strada facendo un grosso passo indietro. Tale involuzione dal vivo si traduce in noia e banalità. A questo c’è poi da sommare l’inefficienza del cantante Deryck Whibley, troppo poppy per suonare del punk e troppo punkettone per fare del pop, rimasto senza voce e senza identità, cerca di imitare Billie Joe Armstrong con scarsi risultati. Tra una canzone e l’altra sono stati capaci di infilare decine di minuti per rifiatare con silenzi assoluti o tempi morbidi di batteria accompagnati da lunghi accordi. Pessimi.
Uno sguardo all’esterno, si fa quasi sera e possiamo constatare una presenza di partecipanti al festival molto inferiore rispetto a quella della passata edizione ma non voglio scoraggiare ne demotivare l’organizzazione di questo festival ragion per cui attribuisco la colpa di tutto ciò al vulcano islandese con tutti i problemi di spostamenti che ha causato, posso farlo?!
“Per fortuna gli AFI non deludono mai”, diceva un belga alle mie spalle e come dargli torto?
Certo le loro cantilene dopo svariati ascolti non hanno più l’impatto delle prime volte e la voce di Davey Havok alla lunga risulta tediosa ma dal vivo non gli si possono trovare difetti. In Europa per presentare la loro ultima fatica “Crash Love”, gli AFI fanno tappa al Groezrock con fare professionale ed una scaletta che non riporta alle loro origini ma risulta comunque genuina per innovazione e caparbietà.
Passiamo ora al grande dubbio che ci affligge da fine 2009: come se la caverà Zoli Téglàs in veste di nuovo cantante dei Pennywise? La risposta la dà lui stesso con una perfomance strepitosa. Se con gli Ignite può dar sfogo alle sue immense doti vocali arrivando in alto fino al cielo e spesso oltre, con i Pennywise, Zoli cambia impostazione vocale, avvicinandosi il più possibile al vecchio leader Jim Lindberg che ha da poco lasciato la band per dedicarsi alla famiglia. Certo la band, nella sua totalità, da sempre offre uno spettacolo di tutto rispetto ed è inevitabile che, senza l’acclamato Jim i californiani non saranno mai agli stessi livelli ma la sostituzione si può definire “ben azzeccata”.
Persi gli H2O per mancanza del dono dell’ubiquità, mi dirigo al palco medio che chiuderà i battenti con gli Story Of The Year. Sapevo già cosa aspettarmi da loro, solita scaletta (con l’aggiunta di qualche pezzo del nuovo album), soliti salti, piroette e decine di loop a ripetizione, d’altronde è questo che pretendo che facciano e, ancora una volta, mi hanno accontentato.
Il ruolo di headliner del Groezrock 2010 lo giocano ovviamente i Bad Religion, con tanto di fascia da capitano, indiscutibile la loro posizione che, per molte delle band presenti, è soprattutto quella di allenatore. Mastodontici, precisi, esperti e disinvolti danno l’impressione di essere lì tanto per divertirsi quanto per impartire a tutti una severa lezione, d’altro canto, vedere i Bad Religion dal vivo equivale ad aprire un libro di storia, studiare e capire il perché di tutto quel che è successo dopo. Che vi piacciano oppure no i fatti sono quelli… Il maestro è sul palco, apriamo occhi e orecchie, impariamo.
Tutto finisce all’una spaccata, la mentalità e la disciplina belga, come da manuale, impone ai partecipanti il rientro immediato e, in men che non si dica, tutto lo spazio del Groez si trasforma in un parco fantasma, con noi italiani unici a finire la nottata al bar tra festeggiamenti e brindisi multietnici.

Esperienza decisamente positiva questo ritorno in Belgio che, ancora una volta, lascia a me e agl’altri ragazzi dell’ Italian Press la porta spalancata per il 2011, per concludere ritengo doveroso sottolineare la competenza dello staff del Groezrock, sia per quanto riguarda la parte burocratica, di amministrazione del sito web ed informativa, sia per quanto riguarda quella tecnica ed organizzativa presente all’interno del festival e della Press-Area. Per un italiano è impensabile che un tale evento inizia e finisca senza nessuna sbavatura, questo mi fa pensare: è bene che si svolga tutto lassù nella non più sconosciuta Meerhout.

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sabato 22 maggio 2010

THY DISEASE – Anshur-Za

Mystic Production - 2009
Goth-pop-death metal
Da 1 a 10: Coraggiosi ma con riserva (7)
Articolo di: Michele Marinel

Pubblicato nel 2009 giunge sui lidi italici solo quest'anno il quinto studio album del combo polacco che si mostra in gran forma e che riesce a stupire grazie ad una miscela originale di generi che, sulla carta, dovrebbero fare a pugni l'uno con l'altro.

Essendo polacchi, manco fosse un tratto tipico della cultura popolare, i nostri suonano un violento death metal dal buon tasso tecnico, che prende le mosse dal verbo dei padri Morbid Angel, con quei riff lancinanti e pesantissimi, su cui si innestano qua e là melodie anche dal sapore mediorientale che portano i nostri in territori cari ai Nile ed ai connazionali Behemoth. Un assalto sonoro di tutto rispetto che viene spezzato da arrangiamenti goticheggianti, tastieroni e momenti melodici con inserti di voce pulita.
E proprio qua sta il problema. Se le parti propriamente death sono intense, elaborate e graffianti mentre il lato più gothic è intelligente e mai scontato, a tratti raffinato, le clean vocals lasciano molto a desiderare. Peccato perchè in coda all'album due cover ("Sinner In Me" dei Depeche Mode e "Frozen" di Madonna) mostrano da dove vengano i retaggi più morbidi della band. Connubio blasfemo viste le radici metalliche del combo? Forse si, ma il risultato e il coraggio della commistione non sono per niente da buttare, anzi.
"Anshur-Za" è un disco che scorre via in maniera piacevole, pesante ma allo stesso tempo fruibile, con variazioni che stupiscono e con un amalgama che funziona. Migliorate le voci pulite questo disco sarebbe ottimo.

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giovedì 20 maggio 2010

LEVI/WERSTLER - Avalanche Of Worms

Magna Carta - 2010
Instrumental
Da 1 a 10: 7/10
Articolo di:
Salvatore Mazzarella

Levi / Werstler è un progetto totalmente strumentale formato dai chitarristi dei Daath Eyal Levi ed Emil Werstler. Questo lavoro ne segna il debutto a cui partecipano, tra le altre cose, in veste di batterista Sean Reinert dei Cynic oltre a Kevin Scott al basso ed Eric Guenther alle tastiere.

Di solito gli album strumentali possono risultare noiosi,cervellotici,una mera esibizione di tecnica che può solo interessare solo i maniaci delle cascate di note dalla sei corde…Bè per questo disco le cose non stanno proprio così! E’ vero che non si può non notare la smisurata tecnica dei due axeman ma è anche vero che eccezionalmente non viene mai persa di vista la melodia, insomma abbiamo a che fare con ‘canzoni strumentali’ seppur con molte variazioni musicali all’interno dello stesso brano.Provate ad ascoltare ‘In Amethyst Through Malavide’ per averne la prova. Tra tutti i brani inoltre spiccano l’opener ‘Noxious Vermin,My Friend’ e ‘Loathsome Little Fiend’ con quest’ultima che esibisce le due chitarre intricatissime,intermezzi atmosferici e momenti musicali di matrice progressive. Insomma,con un po’ di volontà,quindi senza preconcetti, e predisposizione l’album si lascia ascoltare con piacere e d’altro canto 41 minuti sono la giusta durata per non scadere poi nella noia che,vi assicuro, non mi ha per niente sfiorato. Se vi piacciono i Daath oppure i bravi chitarristi con ottima tecnica ma anche tanto gusto questo cd fa per voi.

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THE FORESHADOWING – Oionos

Cyclone Empire - 2010
Metal Gotico (boobs free)
Da 1 a 10: Che tristezza... e vai così! (8)
Articolo di: Michele Marinel



C'era una volta il gothic metal... poi sono arrivati i Theater Of Tragedy (che ancora ci stavano dentro) e da lì in poi è stato il deliro!
Per chi guarda con nostalgia uno dei lati più oscuri degli anni '90, scevro da caproni, boschi nordici e ammazzamenti vari, ma ricco di angosce e di afflato poetico, i The Foreshadowing sono la band giusta.

Il combo italico, composto da gente che milita ho a militato in band come Klimt 1918, Spiritual Front, Dope Star Inc. e How Like A Winter, ha debuttato nel 2007 per Candlelight e a 3 anni da quell'ottimo disco giunge il secondo lavoro, pubblicato questa volta dalla tedesca Cyclone Empire.
"Oionos" prosegue quanto iniziato con il suo predecessore, snocciolando 11 pezzi dal sapore polveroso e dall'incedere indolente. Qui ad essere gotica è l'atmosfera, assolutamente decadente e malinconica, un procedere a tentoni nella penombra. Tempi medi, con qualche accelerazione ma mai marcata, riff semplici ma non scontati, impreziositi da eleganti arrangiamenti.
Il combo riprende la nobile tradizione di quella che fu la scuola doom death inglese che poi evolse nel gothic propriamente detto (prima della degenerazione di cui sopra). Sono chiari i riferimenti ai prime mover del genere, così tra le note dell'album riecheggiano i primi Paradise Lost come gli Anathema antecedenti alla svolta rock, senza dimenticare i My Dying Bride con la loro vena disperata.

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martedì 11 maggio 2010

CRIME IN STEREO - I Was Trying To Describe You To Someone

BRIDGE NINE - 2010
Indie-Rock nostalgico e quasi maschio
Da 1 a 10: Da 1 a 10: piacevole (6,5)
Articolo di: Enrico De Domeneghi


In linea con la recente tendenza da parte di alcune tra le label più importanti in ambito metal e punk ad esplorare anche territori più soft, ecco la proposta filo indie-rock di Bridge Nine, etichetta da sempre sinonimo di hardcore in senso stretto.

Operazione riuscita comunque, perchè i Crime In Stereo sono una band piuttosto particolare, capace di andare a reinterpretare suoni che sembravano essere scomparsi definitivamente. 'I Was Trying To Describe You To Someone' suona indie targato Revelation fine '90, richiamando nomi che hanno dato il via ad un'intera scena, Sunny Day Real Estate su tutti. 'Drugwolf', 'Type One' o 'Republic' sono pezzi costruiti su linee di chitarra scarne ma molto efficaci, con cambi apparentemente azzardati che si capiscono in pieno solo al secondo ascolto ed una voce sofferta quasi mai lagnosa che fu il marchio di fabbrica di certo emo-indie-screamo caduto oggi nel dimenticatoio. I toni si accendono maggiormente in un paio di robusti pezzi rock sparsi nel disco, e anche qui il mood che si crea è godibilissimo e la proposta è riletta in chiave personale. Punto debole, invece, le divagazioni più sperimentali. I riff ripetitivi e i ritmi lenti non si addicono proprio ai Crime In Stereo, band nata in territori più immediati e capace di dare il meglio solo approcciandosi in maniera diretta all'ascoltatore. 'Young', infine, mi ricorda nell'impostazione vocale e non solo, i nostri Settlefish. Intendiamoci, dubito che 'I Was Trying To Describe You To Someone' entrerà di diritto tra le uscite fondamentali della Bridge Nine, ma è pur sempre un lavoro dignitoso che si candida come possibile punto di legame tra presente e passato musicale, uno stimolo ed un'opportuntà per addentrarsi nel bozzolo oggi in penombra di quello che fu l'emo nella sua fase dignitosa.

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STORMZONE - Death Dealer

SPV - 2010
Heavy Metal

Da 1 a 10: 8/10
Articolo di: Maurizio Mazzarella

Attivi dal 2005 e provenienti dalla Gran Bretagna, gli Stormzone giungono con questo nuovo "Death Dealer", edito per la SPV, alla pubblicazione del loro secondo lavoro in studio, facendo ritorno sul mercato discografico a due anni di distanza dal disco d'esordio "Caught In Act". Musicalmente siamo nel campo dell'heavy metal e qui non ci sono equivoci, ne mai si va fuori binario. Gli Stormzone tributano il meglio della N.W.O.B.H.M. e lo fanno in ogni nota di "Death Dealer" e per tutta la durata dell'album. E lo fanno anche in modo meraviglioso.

C'è molto degli Iron Maiden, lo si sente in ogni assolo ed in ogni cavalcata di chitarra. C'è molto di un grandissimo album come "The Number Of The Beast" ed a volte si odono echi dei grandi classici della Vergine di Ferro, in particolare di quelle splendide perle musicali dal titolo "Heaven Can Wait" ed "Hallowed Be Thy Name". Far rivivere le emozioni che donano brani di questo tipo non è facile, eppure gli Stormzone riescono in questa impresa. Ma non c'è solo l'influenza degli Iron Maiden in "Death Dealer", c'è anche quella dei Saxon, come quelle dei Samson e dei Judas Priest. Attenzione però, non stiamo parlando di una band che clona altre formazioni, ma di un gruppo che s molto bene quello che vuole e lo ottiene con grande personalità, manifestando un'identità molto precisa. Fracamente "Death Dealer" è un disco che dona entusiasmo, che trascina, che coinvolge e che seduce anche in un certo senso. Da un punto di vista prettamente tencico, il livello di "Death Dealer" è molto elevato, soprattutto per quanto riguarda il lavoro delle chitarre, ma anche da punto di vista compositivo siamo di fronte ad un prodotto di grande qualità. "Death Dealer" è doato di brani versatili e dall'impatto molto forte, dalla presa facile e dalla portata notevole, è impossibile non apprezzare un disco di questo tipo. Chi lo fa è solo un superficiale. Anche la produzione è molto buona, "Death Dealer" giova si un suono molto moderno ed attuale, un aspetto che gli dona ulteriore lustro e qualità. Gran bel disco, gli amanti di queste sonorità farebbro bene a farci un bel pensierino.


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DERDIAN - New Era Pt. 3 - The Apocalypse


Label Magna Carta - Anno 2009 Genere Power Metal Da 1 a 10: 8/10 Articolo di: Maurizio Mazzarella

I Derdian sono una band che ormai non ha più bisogno di alcuna presentazione. Attivi dal 1998, quindi da circa dodici anni e provenienti dalla città di Milano, la band lombarda giunge con questo nuovissimo "New Era Pt. 3 - The Apocalypse", edito per la nobile etichetta Magna Carta, alla pubblicazione del proprio terzo album in studio facendo ritorno sul mercato discografico a tre anni di distanza dal precedente "New Era Pt. 2 - War of the Gods".


Musicalmente i Derdian affondano le proprie radici nel power metal di tipo sinfonico ed ascoltando il disco, come anche i lavori precedenti del combo milanese, verrebe facile accostarli ai nostrani Rhapsody Of Fire (o solo Rhapsody per i più nostalgici) di Luca Turilli. In effetti i punti in comune ci sono e sono una moltitudine, ma questo non cancella il grande e notevole talento dei Derdian, una band dalle qualità straordinarie e dall'incredibile spessore artistico. Senza mezzi termini, possiamo quindi affermare che "New Era Pt. 3 - The Apocalypse" è davvero un grandissimo disco, colmo di momenti virtuosi e variopinti, di grandissime cavalcate di chitarra, di momenti intensi ed incisivi, ma anche di frangenti energici e poetici allo stesso tempo. Siamo di fronte ad un disco che rasenta il capolavoro, composto da brani pomposi, dalla portata notevole e dall'impatto molto forte, complessi da un punto di vista compositivo, ma anche molto semplici d'assimilare, a conferma delle immense capacità tecniche di questo gruppo lombardo. Ottima anche la produzione, perfetta per lo stile dei Derdian, ma anche capace allo stesso tempo di donare a "New Era Pt. 3 - The Apocalypse" un suono molto moderno ed attuale ed anche di prospettiva in un certo senso. Cosa che poi balza immediatamente agli occhi, sono i notevoli e consistenti passi in avanti fatti dai Derdian rispetto anche al solo disco precedente, un gruppo che con "New Era Pt. 3 - The Apocalypse", dimostra di aver raggiunto la maturazione di definitiva e di poter competere chiunque senza problemi sul piano internazionale con l'obiettivo di raggiungere un folto numero di consensi. Poche parole, se amate questo genere questo disco fa assolutamente al caso vostro. Non lasciatevelo scappare!!!

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giovedì 6 maggio 2010

SICK OF IT ALL – Based On A True Story


Century Media - 2010
ACCACCISENZARIMORSO!
Da 1 a 10: La vecchia scuola ha sempre (e comunque) ragione! (8)
Articolo di: Michele Marinel

Ci sono dei gruppi che, nel bene o nel male, sono delle garanzie. I Sick Of It All sono uno di questi gruppi. La band di New York è forse la più fiera portabandiera dell'hardcore cittadino insieme agli inossidabili Agnostic Front, e il nuovo "Based On A True Story" non fa che riconfermarne tutto lo spessore.

Si potrebbe discutere per ore sul senso di fare un album che, suoni a parte, potrebbe essere stato fatto uno o due decenni fa. D'accordo, la staticità dei SOIA non è in discussione, ma se ad alcuni gruppi è dato il compito di evolvere un genere, ad altri è dato quello di mantenerlo ancorato alle proprie radici ed è quello che i nostri sanno fare meglio. Questo disco è tutto quello che vi potete aspettare da un disco di HC newyorkese, un assalto diretto, violento, senza fronzoli. I riff sono semplici, minimali, tanti muscoli e cervello quel che basta. Sudore in abbondanza ma anche odore di asfalto, il grigio dei quartieri bassi, lo smog pesante, l'afrore di cipolla dei baracchini di hot dog, le grida sguaiate dei quartieri italiani, di quelli ispanici come di quelli neri, il traffico, i claxon, le chiacchiere dei taxisti e Manhatthan lontana, molto lontana, sullo sfondo.
Ma sto divagando. Atmosfere a parte il disco è una figata, dritto come un mattone che ti piove in testa da un palazzo in costruzione e altrettanto pesante, ma capace anche di un paio di momenti quasi festaioli con cori singalong che ricordano quasi quasi l'Oi!. Come ci si può aspettare le ritmiche sono serrate e lineari, le chitarre ruvide e lineari, la voce abrasiva come non mai. Tutte cose già sentite? Altrochè. Il bello è che le si sentono sempre volentieri e che questi vecchietti le sanno raccontare sempre bene.


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