domenica 28 febbraio 2010

DARK FORTRESS - Ylem


Century Media - 2010
Nero atmosferico
Da 1 a 10: sanno arrangiare (7)
Articolo di: Michele Marinel



Terzo album in casa Century Media e sesto per la carriera dei Dark Fortress che si riconfermano come una delle realtà più interessanti dell'attuale panorama black metal, sebbene dimostrino anche alcuni limiti che sembrano non riuscire a superare. “Ylem” infattti appare come un sunto di tutto ciò che i Dark Fortress riescono ad essere, nel bene e nel male.

Riuscire a comporre un disco di oltre 70 minuti che sia convincente dal primo all'ultimo brano non è impresa certo da poco, ma la band tedesca ci riesce egregiamente, cesellando composizioni dall'ampio respiro, alternando momenti funerei e catacombali, dominati da lugubri downtempo e da sinistri arpeggi, con sfuriate dal sapore sfacciatamente svedese. La band riesce ad elevarsi a livelli molto alti grazie alla sua capacità di arrangiare i brani in maniera personale e eclettica, sfiorando certo avantgarde, grazie ad un lavoro eccellente dei chitarristi che, in pulito, dimostrano grande fantasia, e grazie anche alle corde vocali di un singer versatile ed espressivo. E così nei brani più atmosferici la band riesce a risultare coinvolgente e convincente anche nei pezzi più lunghi. La faccenda si complica nelle parti più tirate e metalliche perchè in quegli ambiti il combo germanico sembra perdere buona parte della sua verve abbandonandosi a riff piuttosto banali, figli del black thrash leccatino degli ultimi Dimmu Borgir.
Un difetto non da poco, ma anche un limite che viene in gran parte superato grazie proprio a quegli arrangiamenti di cui si parlava poco sopra e che devono essere stati uno degli elementi che ha portato i Dark Fortress ad essere apprezzati addirittura da sua maestà Thomas Gabriel Fisher.
Comunque un gran bel disco nelle sue parti più sulfuree e non tradizionali, che per fortuna compongono la maggior parte del lavoro.

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sabato 27 febbraio 2010

CORONATUS – Fabula Magna


Massacre - 2009
Gothickone lirico ma non solo...
Da 1 a 10: Dentro e fuori il solco dei grandi nomi (7)
Articolo di: Michele Marinel



Di solito non sono certo tenero con i gruppi gothic di questo tipo. Chitarroni pesanti e voci liriche di poppute female singer non sono quello che secondo me rappresenta davvero il gothic metal. Esistono però naturalmente le dovute eccezioni e i Coronatus sono una di queste, per quanto al primo approccio non si direbbe assolutamente.

Il terzo lavoro della band tedesca si presenta da subito in maniera solida e coinvolgente. Se l'impianto neo-gothicheggiante è quello che, aimè, impera nella scena da fin troppi anni, il combo tedesco si distingue dalla massa gorgheggiante per due motivi fondamentali. Innanzitutto ha ben due female singer, cosa che al sottoscritto puzzerebbe anche più del normale, ma tant'è, l'intreccio tra la voce della soprano Carmen Lorch e l'impatto più rockeggiante della singer Lisa Lasch regala una dinamica tutta particolare alla band, che si allontana così anche dalla tradizone del “La Bella e la Bestia” nata con i Theatre Of Tragedy.
La cosa più importante però è un altra: i pezzi sono vari, ben strutturati, con un bel tiro grazie ad un buon lavoro di composizione che, se nelle parti più canoniche risulta un po' scontato, sa riscattarsi in grintose accelerazioni, in svisate vicine al death thrash e ampie divagazioni folk.
Non siamo certo davanti ad un capolavorone di valore assoluto, ma comunque “Fabula Magna” si difende per la sua capacità di essere un album vigoroso, sfacciatamente metal (pur se ingentilito dal tocco femminile) e molto godibile. Davvero niente male!

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mercoledì 24 febbraio 2010

DEADLY CARNAGE - Decadenza



Dark Babel Records - 2010
Black Metal (con incursioni decadenti)
Da 1 a 10: Ottima prova! (8)
Articolo di: Martina d'Errico

I Deadly Carnage sono un gruppo del riminese che si dedica a suonare un genere a cavallo tra black e death metal. Nati nel 2005, grazie ad un'intensa attività di auto promozione attraverso internet ma soprattutto alla gran voglia di suonare dal vivo, il gruppo si è fatto conoscere ben presto in tutta la romagna e successivamente anche oltre, iniziando così a partecipare a vari festiaval di settore (in Maggio li vedremo sul palco del Black Lake Metal Fest).

Dopo i consueti cambi di line-up, nel 2009 firmano per la Dark Babel Records, per la quale esce appunto "Decadenza", già uscito nel 2008 come autoproduzione.
Questo ep, composto da 4 tracce per un totale di 32 minuti, mostra tutta la forza della giovane band, sia per quanto riguarda la capacità compositiva che le qualità di musicisti nell'eseguire i brani.
Il primo pezzo è "Antica Europa", in cui a farla da padrone sono le chitarre, che si dividono tra arpeggi e parti "grattate" tipicamente black. Notevole il fatto che, nonostante la canzone duri ben 10 minuti, non risulta noiosa o ripetitiva, grazie a un'ottima struttura che la rende varia e allo stesso tempo adatta all'ascolto. Il sound è un mix perfetto di malinconia e decadenza (dopotutto il titolo non sarà casuale, no?) e anche le ritmiche si adattano perfettamente a quest'atmosfera. Proseguiamo quindi con "1486", più diabolico e dal ritmo più sostenuto, mentre "Sogno Evanescente" mescola un po' le caratteristiche dell'una e dell'altra canzone, alternando momenti riflessivi ad altri più ritmati. Il quarto e ultimo pezzo è "Facing The Path To Eternity", il più tendente al black anche grazie ad un growl più marcato. La batteria è stavolta in primo piano assieme alle chitarre, creando così una ritmica possente e incisiva.
Un'ottimo lavoro per i Deadly Carnage, che siamo a questo punto curiosi di sentire in versione long playing.

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martedì 23 febbraio 2010

BLOOD OF KINGU - De Occulta Philosophia


Debemur Morti Productions - 2009
Black Metal (ipnotico ed esoterico)
Da 1 a 10: Ristampa del nuovo progetto di Roman Saenko (6)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Originariame
nte uscito nel 2007, "De Occulta Philosophia" rappresenta l'esordio dei Blood Of Kingu, formazione ucraina che prende il nome da una divinità della mitologia Babilonese e che vede fra le proprie fila la presenza di Roman Saenko già attivo negli Hate Forest e nei Drudkh. Oggi questo disco vede nuovamente la luce grazie alla ristampa della Debemur Morti e così ha la possibilità di una maggiore diffusione.

Il concept lirico ruota intorno alla storia e alla mitologia mediorientale, con riferimenti principali alle popolazioni dei Sumeri e degli Egizi; la musica invece è un black metal piuttosto tirato che utilizza una certa ripetitività per creare un andamento ipnotico, supportato da sporadiche vocals, simili a invocazioni o oscuri incantesimi piuttosto che ai tradizionali growl o scream. Anche la scelta di suoni scarni e poco levigati permette di ricreare atmosfere occulte e magiche. Stilisticamente brani come "Your Blood, Nubia! Your Power, Egypt!", "Mummu Tiamat" e "Stronghold Of Megaliths, Thorns And Human Bones" seguono la stessa identica scia, prima che "Slaughter Of Shudras", intermezzo etnico/tribale a base di percussioni, intervenga a spezzare il leitmotiv dominante. Unica eccezione forse è rappresentata da "Black Spectral Wings Of Shaman" dall'atmosfera quasi epica ed "ariosa" (in senso lato ovviamente!)
"De Occulta Philosophia" è quindi un disco con un proprio perchè e che rispecchia fedelmente le liriche nell'atmosfera generale dei brani, c'è anche da dire però che la ripetitività di fondo risulta essere un'arma a doppio taglio: fondamentale per entrare in sintonia col mood del disco ma anche passibile di generare noia. Solo ascoltando direttamente potrete schierarvi con cognizione di causa.

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domenica 21 febbraio 2010

SPECTRAL - Evil Iron Kingdom



CCP Records - 2009
Death metal - Epic metal
Da 1 a 10: 7/10
Articolo di: Giuliana Liani

Veloce e feroce, pestato e crudele quanto basta, “Evil Iron Kingdom” s’impone con violenza negli stereo dei True Metallers del ventunesimo secolo. Screaming e growling furiosi s’innalzano da un letto di riff di chitarra rapidi e adeguatamente vincolati al doppio pedale della grancassa nella titletrack dell’album.

Brani dal sapore epico e squisitamente bellico si sviluppano attraverso sequenze di chitarra distorta, veloce e martellante come nel caso di “Die In Battle” corredato da un chorus immediato e possente al punto giusto, inserito con sapienza all’interno di una canzone caricata da riff trascinanti e vigore tipico del metal con venature epico-viking.
Impossibile riprendere fiato durante l’intero sviluppo del disco, che sembra concedere brevi attimi di respiro solo durante il chorus di “Embraze The Darkness”, cadenzato e cantilenante nel cantato pulito di voci maschili che conferiscono il tono marziale e velatamente nostalgico ad un brano comunque estremamente rapido e violento sulla falsa riga di Amon Amarth e compagnia.
L’incedere dinamico e possente di “Evil Iron Kingdom” procede con “Pagan Steel”, carico di enfasi e rapidità, stereotipo classico della cultura bellica promossa dal genere proposto dagli Spectral, “figli di Odino” alla ricerca di ideali di supremazia e salvezza, come immediatamente intuibile dalla godibilissima canzone a seguire, “Age Of Eternal Viktory”. Un accattivante motivetto di chitarra accompagna l’ascoltatore attraverso la valle di sangue e polvere che condurrà il Guerriero verso l’Eternità della vittoria.
Un corposo giro di basso termina il viaggio attraverso “Evil Iron Kingdom” con il brano “Raise Your Fist”, supportato dal ruffianissimo ritornello epico e galvanizzante come meglio si conviene ad un heavy metal fondato sul valore dell’epicità folk.
Pur non brillando in originalità, l’album si dimostra in grado di raccogliere i punti fulcro del death metal epico tipico della tradizione nordica e di svilupparli come meglio possibile al fine di dare alla luce un full-lenght che, seppur infinitamente lungi dal proporre alcunché di innovativo, regala quanto possibile desiderare dal genere musicale proposto.


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DARK ILLUSION - Where The Eagles Fly



Battlefield Records - 2009
Power Metal
Da 1 a 10: 7/10
Articolo di: Giuliana Liani

Frenesia di grancassa e chitarre, male vocals al limite dell'estensione vocale e galvanizzanti coretti epici. Un tocco di Blind Guardian alle sei corde e tematiche familiari ai seguaci di Manowar & Co. si fondono nella tradizione del power metal made in Sweden. Una ricetta di comprovata riuscita, basata sui fondamenti dell'heavy metal pulito alla Helloween e Hammerfall.

"Where The Eagles Fly" si sviluppa attraverso dieci tracce che raccolgono il meglio del classico power metal, a partire dall'opener "My Heart Cries Out For You", forte di power chords in distorsione sostenuti da batteria veloce e cantato squillante di Thomas
Vikstrom ben presto affiancato a trascinanti coretti durante il ritornello.
Le melodie catchy ed orecchiabili dei brani a seguire catturano l'ascoltatore già dal primo ascolto, senza troppo dilungarsi in complicati assoli ed intermezzi eccessivamente introspettivi.
Brani come "Dark Journey" e "Pay The Price" continuano l'incedere furioso alla base dell'album della band scandinava, perpetuato da canzoni energiche ed elettriche come "Running Out Of Time" e "Only The Strong Will Survive".
Nessuna innovazione ma comunque un valido prodotto lungi dal deludere i seguaci del power di prima qualità.

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giovedì 18 febbraio 2010

THROWDOWN - Deathless

Nuclear Blast - 2010
Groove Metal (copia e incolla Pantera)
Da 1 a 10: Indecisi sul da farsi (6)
Articolo di: Davide Pozzi



Tornano con un nuovo lavoro dal nome “Deathless” gli americani Throwdown, band groove metal, nata nel 1997 e fortemente devota al sound dei grandissimi Pantera, tanto da essere definiti da molti una vera e propria band clone, purtroppo per noi e soprattutto per loro senza nemmeno un decimo del talento della celebre band citata pocanzi.

Non c’è dubbio che i Throwdown nel corso della loro carriera non abbiamo mai fatto segreto di questa loro venerazione per i CFH, cosa per altro ampiamente dimostrata in album come “Vendetta” o “Venom & Tears”, riuscendo anche simpaticamente a conquistare diversi estimatori specialmente nella madre patria. “Deathless” sesto studio album si presenta dunque con queste caratteristiche, soprattutto per merito dei riff di chitarra creati da Mark Choiniere, che per fattura e pesantezza dei suoni, suonano proprio come un omaggio al grande Dime. La componente che diversifica l’intera opera rispetto ai lavori passati è un notevole abuso della melodia, specialmente per quello che riguarda la parte vocale, che vede il singer Dave Peters cimentarsi non poco in ritornelli parecchio melodici e sotto ritmo rispetto a quanto siamo stati abituati ad ascoltare dalla band americana. Sostanzialmente questo cambio può essere letto come una precisa scelta stilistica fatta apposta per dimostrare al mondo che i Throwdown hanno qual minimo di personalità che contraddistingue una band vera da una cover-band qualunque; il brano “Widowed” può essere preso benissimo come esempio per quanto appena detto. Questo cambiamento, a un certo punto della loro carriera, era anche logico aspettarselo, la cosa che lascia perplessi semmai, sono quei brani come “Headed South”, “Skeleton Vanguard” o “Pyre & Procession” ancora pesantemente influenzati da tutte le vecchie passioni, evidentemente dure a morire. A questo punto è lecito domandarsi cosa i Throwdown vogliano essere nel panorama metal mondiale: una band o una cover band? Risolto questo inconveniente, tutto sarà possibile.

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mercoledì 17 febbraio 2010

RISE AND FALL - Our Circle Is Vicious

Deathwish Inc. - 2009

Post-hardcore, Hardcore (no coloured-black fringe allowed)
Da 1 a 10: Solidi (6/7)
Articolo di: Enrico De Domeneghi



Arriva dalla sezione staccata belga di casa Deathwish questo Our Circle Is Vicious, discreta quarta prova dei Rise and Fall. Quarta che suona in realtà come prima ufficiale per il livello di visibilità e fama che la band ha saputo guadagnarsi accompagnando in Europa le migliori realtà hardcore venute ad urlare qui da oltreoceano. E dalle quali, se vogliamo, hanno anche preso ispirazione.

Post-hardcore apocalittico figlio di casa Deathwish quant'è vero il suo nome e tirate marchio registrato Converge quasi sempre ben rilette. Della categoria uno fanno parte 'To The Botton' e subito dopo 'In Circles', pezzo scarno e fondato su un basso semplice e convincente. 'Knowing' conclude il lavoro sugli stessi temi, con delle chitarre ben fatte che marchiano forse il miglior momento del disco. Ma in mezzo si passa per tirate alla Disfear e momenti più hardcore in senso stretto, vedi 'Harm's way' e 'Built On Graves', pezzi che danno respiro ad un materiale complessivamnte curato (prodottodakurtballou funziona come aggettivo? -nda), ma sicuramente più difficile da approcciare. Promossi per il bel formato del digipack, rimandati per l'artwork di un Bannon che si impegna nella grafica esterna (un'interessante cosa morta tipo pesce con le radici, -nda), ma non fa altrettanto per il teschio enorme interno, molto più scontato.


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VEMOTH - The Upcoming End




Dental Records - 2009
Black Metal (con influenze death)
Da 1 a 10: Un buon ascolto (7)
Articolo di: Martina d'Errico

I Vemoth dichiarano guerra al genere umano, e per portare avanti la loro crociata pubblicano un nuovo cd, il secondo della loro carriera, intitolato "The Upcoming End". Nonostante proclamino di suonare qualcosa di unico e mai sentito prima, il loro è in realtà un classico black/death metal, fatto veramente bene ma che di sicuro non rivoluzionerà la storia della musica. La durata complessiva del disco è di poco più di mezz'ora, il che lo rende facilmente accessibile se si ha voglia di dare un ascolto senza impegno e fa sì che questo cd possa costituire un punto di partenza più "leggero" per chi non è avvezzo al genere. I brani sono tutti belli, ma si notato in particolare "Lida", "Without The Presence Of God" e la conclusiva "Wolfpack".

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martedì 16 febbraio 2010

HINSIDES - Etemenanki's Followers


Bloodred Horizon Records - 2009
Black Metal (che fa rima con Norvegia)
Da 1 a 10: Venticinque minuti di musica derivativa (5)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Black metal e Norvegia:
un connubio vincente, inattaccabile e assolutamente rivoluzionario ad inizio anni '90, oggi però non è più così. Sebbene la media di band black metal pro capite raggiunga livelli (numerici) vertiginosi, non è sempre possibile dire lo stesso riguardo la qualità della proposta. Gli Hinsides nascono nel tardo inverno del 2005 nella patria dell'ortodossia del metallo nero, cresciuti a pane, DarkThrone e Satyricon, il quartetto si affaccia alla luce del panorama internazionale nell'agosto dello scorso anno, a diciotto mesi di distanza dalla pubblicazione del demo "The Forthcoming Of Abell 1689".

Passati i quattro minuti e mezzo dell'opener "Diffuse Borders Of Existence", sorta di lunga intro basata principalmente sull'utilizzo del pianoforte, ec
co giungere la title-track: scream, ritmiche, suoni, tutto è in linea con l'old-school, peccato che in quasi dieci minuti siano rare le stoccate vincenti. La prima parte è la più aggressiva, si passa da un tempo medio ad uno veloce, accelerazioni guidate da una batteria convulsa supportano l'assalto all'arma bianca ma senza sferzare troppo l'ascoltatore; nella parte centrale ecco emergere anche l'aura del Conte, nei rallentamenti ipnotici ed ossessivi, nel minimalismo e nella ripetitività del riffing, è impossibile non riconoscere il marchio Burzum stampato, questa influenza andrà crescendo nei brani seguenti toccando l'apice in "The Dark Matter" col suo incipit dai toni ambient.
Date queste coordinate stilistiche, necessarie al lettore per effettuare una scrematura, bisogna poi sottolineare un altro paio di elementi. Primo, il livello di derivatività qui presente è piuttosto alto, le tracce hanno pochi spunti vincenti e mancano di personalità. Secondo, la durata di "Etemenanki's Followers" non giustifica la sua essenza di full-album: trenta minuti di musica, che al netto di un'introduzione insipida scendono a ventisei, sono minutaggio piuttosto scarno che un prezzo di vendita di dieci euro non rende più appetibile.
Alla luce di tutto questo non posso consigliarvi il lavoro degli Hinsides, resta però la giustificazione dell'essere al primo lavoro.

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mercoledì 10 febbraio 2010

SURGERY - Non Un Passo Indietro



Altipiani - 2009
Industrialimpegnato (IANVA meets Rammstein under EBM)
Da 1 a 10: 8/10
Articolo di: Giuliana Liani


Forti di collaborazioni con Combichrist ed Xp8, i Surgery impongono in “Non Un Passo Indietro” un cantato alla Rammstein fuso ad un sound acido e techno-goth, privo di ammorbidimenti moderni.
Diciassette brani feroci e tradizionali al contempo, scagliano sull’ascoltatore messaggi di decadenza postindustriale e denuncia politica con richiami alla storia della Penisola Tricolore, quasi confondendo la cultura epica degli IANVA con sonorità tra il metal e l’artificio elettronico degli Ensoph.


L’album si giostra tra effetti aggrotech e testi graffianti ed accusatori, come in “Dolcissima Italia” in cui la forte denuncia all’indifferenza della Patria per i suoi cittadini viene scandita in tono grave dal vocalist Daniele Coccia, cadenzando sarcasmi e luoghi comuni su chitarroni pesanti, ritmi sincopati e riff di synth di Matteo Ribichini, disturbati da screaming improvvisi e disperati.
In “Comaradio” e “Totem E TV” risalta con prepotenza una critica sociale e politica a volte decisamente esasperata, tanto da risultare ridondante e piuttosto gratuita. Il dito puntato contro il mondo dei mass media necessita di argomentazioni più attuali o perlomeno variegate per colpire l’ascoltatore ormai da lungo tempo bombardato dal disprezzo per tecnologia ed eccesso di capitali.
In “Lupi Da Cortile” la voce di Cristina Badaracco supporta il cantato maschile contribuendo ad alleggerire i toni cupi di un brano che si giostra ancora una volta tra chitarre distorte, sequenze frenetiche di effetti di synth e liriche che spesso ricordano certi racconti di Dino Buzzati.
Le atmosfere industrial vengono momentaneamente sospese nel brano “Classe Onirica”, dilatato e vellutato, in cui eleganti note di pianoforte accompagnano un cantato maschile nobile e grave, sdoppiato e sospirato fino al termine della canzone in cui l’improvviso ingresso degli archi contribuisce ad arricchire il pathos del testo.
La dimensione intima e carezzevole di “Classe Onirica” viene brutalmente interrotta dal ritmo isterico di “Edipo Re”, che vomita sull’ascoltatore tutto il pessimismo, la frustrazione e la maledizione che segue alla nascita dell’essere umano, abbandonato a sè stesso in un mondo di crudeltà, prepotenza ed individualismo.
Sempre apprezzata la cover di “Photographic” dei Depeche Mode dei primi tempi, scandita e vivace come l’originale ma arricchita di quell’aggressività che ne permette lo sfruttamento tra i dance floor techno-goth.
“Non Un Passo Indietro” rappresenta l’ideale fusione tra il sound da pista techno-EBM e la ricercatezza nei messaggi e contenuti. Un connubio che risalta fin dal secondo brano “Morituri Te Salutant”.

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martedì 9 febbraio 2010

ATRITAS - Celestial Decay



CCP - 2009
Black Metal (melodico)
Da 1 a 10: ottimo ascolto (8)
Articolo di: Martina d'Errico

Ebbene sì, questa volta anche io mi accingo a parlare pienamente bene di un disco! Si tratta di "Celestial Decay", nuova uscita del gruppo svizzero Atritas, dediti ad un black metal melodico di ottima fattura. Probabilmente l'elemento melodico farà storcere il naso ai soliti puritani che vorrebbero solo black duro e puro,possibilmente registrato male, ma non facciamoci fermare da queste barriere perchè la musica degli Atritas merita decisamente.

L'esordio della band risale al demo del 1997, e questi 13 anni di attività hanno migliorato le loro capacità sia per quanto riguarda i suoni e la produzione, ora pulitissima, sia per quanto riguarda le loro doti di compositori. I pezzi di "Celestial Decay" sono infatti tutti scorrevolissimi e di "facile" ascolto nonostante il genere non sia esattamente tra i più leggeri. Hanno tutti un qualcosa di magnificamente maligno, a partire dall'intro "Ultimate Downfall", che ricorda vagamente le atmosfere di "Death Cult Armageddon" dei Dimmu Borgir; a procedere troviamo "(Sacrifical) Devil Worships Salmody". Non manca un certo retrogusto sinfonico, dato dalle tastiere che occupano un ruolo importante in tutte le canzoni riempiendone l'atmosfera, come "Memorium Magicus", uno dei pezzi meglio riusciti del disco. C'è da dire che il livello qualitativo dei pezzi è tutto piuttosto alto, ma spiccano "Shizofrenia In Death" e la conclusiva "Divine Apocalyptic Glooom".
Un ottimo ascolto consigliato agli amanti del black più pulito.

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lunedì 8 febbraio 2010

OVERKILL - Ironbound

Nuclear Blast - 2010
Thrash Metal (Old School)
Da 1 a 10: Capolavoro (10)
Articolo di: Davide Pozzi



Signore e signori “Ironbound” il disco dell’anno! Lo so come premessa potrebbe risultare leggermente eccessiva e azzardata, questo però solo se a giudicare è chi ancora non ha avuto il piacere d’ascoltare la nuova prodezza musicale di Bobby Ellsworth e soci. A distanza di tre anni dall’ottimo “Immortalis” tornano gli americani Overkill e lo fanno alla grande, sfornando un disco immenso, praticamente impossibile da evitare.

Fin dalle prime note della superlativa traccia d’apertura “The Green And Black” s’intuisce lo stato di grazia assoluto nel quale si trova la band statunitense; un inizio lento, quasi sussurrato, lascia spazio ad una cavalcata lunga ben otto minuti di puro thrash metal, dove le chitarre di Linsk e Tailer diventano le assolute protagoniste sfornando riff e assoli a più non posso. Il brano che segue è la title-track, un pezzo capolavoro che ci prende per mano e ci porta indietro di vent’anni, una sfuriata thrash metal come non se ne sentivano da anni, impreziosita da un assolo da brividi. “Bring Me The Night” ha l’arduo compito di venire dopo due monumenti musicali come quelli appena citati; il pezzo è tiratissimo e fa venire la bava alla bocca al solo pensiero di quello che nascerà sotto i colpi del suddetto pezzo in sede live. “The Goal Is Your Soul”, attraverso i suoi quasi sette minuti, torna a mostrarci le incredibili qualità tecniche di Bobby “Blitz” e soci; mente le successive “Give A Little” e “Endless War” tornano a martellare come se niente fosse e a questo punto la mia testa si è già staccata dal collo! Un delizioso arpeggio introduce “The Head And The Heart”, brano incredibile impreziosito da continui cambi di tempo e caratterizzato ancora una volta da una prestazione vocale eccezionale per opera di Mr. Ellsworth. “In Vain” e “Killing For A Living” parlano lo stesso linguaggio di “Bring Me The Night”, mentre “The SRC”, ha il compito di chiudere il disco, ovviamente nella maniera più aggressiva possibile, sbattendo in faccia a chi ascolta fino all’ultimo istante una serie di assoli, riff e passaggi di batteria da infarto.
Raramente snocciolo in una recensione brano dopo brano, anzi a memoria non ricordo nemmeno di averlo mai fatto, ma la qualità di “Ironbound” è talmente alta che non potevo farne a meno; in un colpo solo disintegra le ultime uscite di Metallica, Megadeth e Slayer, oramai anni luce dal produrre simili dischi. Sfido chiunque a fare meglio.

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RED7 - Prologuep



Respira - 2009
Muserock (il genere parla da sè)
Da 1 a 10: Meritevole, curato, impersonale q.b. (7/10)
Articolo di: Giuliana Liani


In attesa di terminare la registrazione del primo full-lenght ufficiale, i nostrani Red7 aprono un sottile spiraglio all’alternative-rock con i sei brani di “Prologuep”.
Chitarre distorte e surreali tocchi di effetti elettronici dominano le tracce dell’ep fin dall’opener “Sidereal”. Il forte richiamo ai Muse di “Origin Of Symmetry” emerge all’istante, imponendosi con prepotenza nel cantato acuto e disperato del cantante Cristiano Cicciotti nonchè nei frenetici intermezzi di tastiera.


La ricercatezza nell’elaborazione e missaggio dei suoni si riflette in un sound estremamente curato e preciso che sfocia durante “Destiny” in un cantato più grave ma ancora carico di passione e sentimento. Il vocalist sembra appellarsi all’ascoltatore con esasperazione decisamente familiare ai seguaci del poliedrico Bellamy, mentre un turbinio di effetti elettronici-pop s’impongono con sinuosa eleganza. Il riverbero del cantato enfatizza il pathos del brano, mentre atmosfere surreali vengono sporadicamente spezzate dalle chitarre distorte ma ovattate al contempo, creando un’amalgama omogenea di effetti elettronici e voci dilatate.
In “Feel The Silence” il richiamo alla band dei Muse si rifà vivo più che mai, attraverso un crescendo onirico di vocalizzi sospirati e timidi falsetti riuniti in un coro che apre l’ingresso alle tonalità minori degli archi.
Un ep assolutamente dignitoso per quanto riguarda attenzione a tecnica e missaggio ma pur sempre acerbo in quanto contenuti innovativi. Un’ottima risposta tricolore alla band dei Muse ,che ancora non ha incontrato la chiave per un sound personale in grado di distinguerla dai macrogruppi alternativi di fine ventesimo secolo.

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domenica 7 febbraio 2010

SANCTUS NEX - Aurelia


ATMF - 2009
Black Metal (vogliamo proprio chiamarlo religious?)
Da 1 a 10: Esordio convincente, futuro roseo (7)
Articolo di: Simone "M1" Landi

Le sue uscite
potranno piacere o meno ma è innegabile che l'ATMF continui a proporre nel proprio catalogo band interessanti e potenzialmente vincenti: è il caso questa volta degli esordienti Sanctus Nex. Originari del Regno Unito, la formazione è composta da Svograth (voce), Dian (chitarre) e T. Valley (batteria) e si è formata nel 2004 con lo scopo di coniugare musica, black metal in particolare, con lo studio dell'Ontologia e della Teologia. "Aurelia" fu originariamente registrato nel 2006 ma solo nell'ottobre 2009 vede la luce della pubblicazione.

Il disco si compone di soli quattro brani con il primo "Exordium Of The Apostate" che si rivela essere una sorta di lunga introduzione alle atmosfere dell'album e che si muove in un lento crescendo. Le restanti tre, a partire da "In Pursuit Of Albion", sono lunghe composizioni che sforano sempre i dieci minuti di durata e vivono di un clima che banalmente potremmo definire di stampo "religious". Ci muoviamo in un'oscurità mistica mai pienamente interpretabile, i continui cambi di tempo infatti rendono la musica sfuggente, come se proprio sul punto di "carpire" uno dei misteri metafisici riguardanti la filosofia delle dottrine religiose all'improvviso ci ritrovassimo con un pugno di mosche in mano, ancora una volta al punto di partenza.
Non si tratta di nulla per cui strapparsi i capelli ma neppure di un disco da accantonare al primo ascolto, anzi "Aurelia" proprio per la sua strutturazione necessita di passaggi on-air numerosi e "applicati": il buon lavoro dinamico di T. Vallely con la batteria fortunatamente facilita le cose. Con un po' di pazienza riuscirete a cogliere i crescendo di pathos sottolineati spesso dalla prova convincente dietro al microfono di Svograth, a suo agio sia nello screaming più lacerante che nelle tonalità più basse rasenti il growl.
Le basi ci sono tutte per sviluppi futuri davvero interessanti, bravi ragazzi!

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mercoledì 3 febbraio 2010

Europe 29.01.2010 Nonantola [MO], Vox Club

Europe @ Vox Club, Nonantola [MO] 29.01.2010

Meritato sold-out al Vox Club di Nonantola (Mo) per gli svedesi Europe, tra i pionieri del rock in stile anni '80, che hanno dominato le classifiche mondiali e che ancora oggi vengono citati assieme a gruppi come Van Halen e Judas Priest, e che nonostante non abbiano riscosso il successo che si sarebbero meritati, diventando così "meteore", riescono ancora ad emozionare giovani e adulti. Un'ora e mezza di puro e adulto rock, tra vecchie glorie del passato - alzi la mano chi non ricorda lo storico intro di tastiera di "The Final Countdown" o i riff di "Superstitious" - e i pezzi del nuovo album "Last look of Eden".


Permettetemi una piccola premessa.
Come ogni gruppo che si rispetti, anche sugli Europe è calata la mannaia del declino e del successivo scioglimento durato quasi 15 anni, ma la reunion di sei anni fa ha sortito l'effetto di un'araba fenice: dalle ceneri degli anni '80, ormai andati da un ventennio, è risorto il "new deal" dei cinque di Stoccolma, e la cosa non dispiace affatto nè al pubblico dei giovani di adesso, nè agli adulti, che altri non erano che i giovani di un tempo...
La scaletta della serata è l'ennesima prova che i pezzi dei "nuovi" album in studio, tra cui l'ultimo citato "Last look of Eden", si mescolano perfettamente ai "vecchi": la scuola è sempre la stessa ma il suond si è rinforzato, basti pensare a "Start from the dark" o a "The beast", e all'alba dei 50 anni, Joey Tempest e soci divertono ed emozionano come nella loro "vita" precedente.
La voce del mattatore Tempest sa ancora essere dolce e potente, un esempio è il medley Superstitious / No woman no cry, ed il frontman non lesina di dare spettacolo roteando la storica asta del microfono bianca, o di scendere tra le prime file a stringere le mani mentre filma i suoi gesti con la telecamera.
John Norum semina riff leggeri e pesanti, scale di blues e accordi adrenalinici che ormai sono entrati nella leggenda, come in "Cherokee" e "Rock The Night"; il tutto condito da Mic Michaeli alla tastiera, John Leven al basso e Ian Haugland alla batteria, il quale, chiamato a "presentarsi" con un assolo, esegue qualche battuta di "Painkiller" dei Judas Priest, giusto per capire che non siamo davanti a gente qualsiasi...
Nonostante alcune "vittime eccellenti" (manca "Carrie" o "Always the pretenders"...), il pubblico si diverte, canta quasi tutti i ritornelli, e non manca di salutare "The Final Countdown" con un boato, mentre Tempest ringrazia e dialoga in perfetto italiano.
E se Raf si chiedeva "cosa resterà degli anni '80", posso garantirvi che "Europe" è una delle risposte.


01. Prelude / Last Look At Eden
02. Love is Not The Enemy
03. Superstitious / No woman no cry [medley - cover di Bob Marley]
04. Gonna Get Ready
05. Scream of Anger
06. No Stone Unturned
07. Let The Good Times Rock
08. Prisoners in Paradise
09. Open Your Heart
10. Stormwind
11. Optimus
12. Girl From Lebanon
13. New Love in Town
14. Start From The Dark
15. Cherokee
16. Rock The Night

ENCORES

18. The Beast
19. The Final Countdown

Qui potete trovare le foto:

http://tinyurl.com/europevox

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MUSTASCH - Mustasch

Nuclear Blast - 2010
Hard Rock (america style)
Da 1 a 10: Stupendo! (8)
Articolo di: Davide Pozzi



Quinto album per gli svedesi Mustasch, spassosa hard rock band attiva da più di sette anni partorita dalla mente del singer-chitarrista Ralf Gyllenhammar. In patria sono dei veri e propri eroi musicali, nel resto del mondo sono meno conosciuti, ma la loro proposta musicale è di altissimo livello e questo nuovo lavoro omonimo lo dimostra appieno.

Nonostante la separazione da Hannes Hansson e Mats Hansson che facevano parte della band fin dagli esordi, il leader Ralf Gyllenhammar, mette insieme in questo nuovo lavoro un lotto di brani dall’appeal irresistibile, carichi di quell’energia che solo l’hard rock sa trasmettere. Energia dunque sempre presente come nel caso di brani quali ”Heresy Blasphemy”, “Damn It's Dark”, “The Man, The Myth, The Wreck”, ma anche malinconia come nella bellissima traccia “I’m frustrated”, quasi mi mettevo a piangere! Parlavo all’inizio di questa recensione di altissimo livello musicale, ed è proprio questo il profilo dei Mustasch; raramente mi sono trovato al cospetto di un disco così carico di passione, il resto lo fanno le qualità tecniche della band e la superlativa voce di un Ralf Gyllenhammar, ispirato quanto mai e totalmente libero di dare sfogo a tutte sue inclinazioni musicali. Decisamente il suo lavoro più personale e a mio modesto parere anche il più riuscito; la recente firma con conseguente passaggio sotto l’ala della Nuclear Blast potrebbe portare alla band quella notorietà più che meritata. Da comprare a scatola chiusa, vi sorprenderà al primo ascolto.

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ALL TIME LOW - Nothing Personal

Hopeless - 2009

Pop-Punk (for lovers)
Da 1 a 10: neutro (6)
Articolo di: cece

Che ci crediate o meno ho tardato appositamente a recensire questo secondo album dei tanto blasonati All Time Low, aspettando che si raffreddasse l'ambiente dopo il lancio di un singolo “bomba” come “Weightless”. Se a pochi giorni di distanza dal grande botto, il mondo dei pop-punk kidz si era a dir poco incendiato, attribuendo titoli onorifici a destra e a manca come: “perla” power-pop o miglior canzone dell'anno, ancora oggi posso affermare che questa grande incandescenza non si è affievolita più di tanto. Certo il quartetto del Maryland, grazie anche al successo tra le ragazzine del leader Alex William Gashkart, è come non mai sulla cresta dell'onda oltre che sulle copertine di tutte le riviste di musica e gossip, ma può bastare un buon singolo sommato a qualche foto modaiola/sbruffona per far scalare a “Nothing Personal” tutte le classifiche di gradimento? La risposta è sì. Sono contentissimo per la Hopeless Records ma l'intero disco, a dispetto di quanto si vociferava prima della sua uscita, seppur iperprodotto, registrato e confezionato coi fiocchi, è innegabilmente immaturo e fin troppo superficiale. Forse le aspettative dopo l'ottimo esordio erano alte e l'esigenza discografica di far partorire subito la gallina dalle uova d'oro ha messo troppa fretta agli All Time Low, fatto sta che, senza “Niente Di Personale” verso di loro, questo passo indietro rispetto al passato rasenta appena la sufficienza. Grazie comunque per il bel singolo!

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martedì 2 febbraio 2010

MNEMIC - Sons Of The System


Nuclear Blast - 2010
Industrial (cover band dei Fear Factory)
Da 1 a 10: Passo indietro (5)
Articolo di: Davide Pozzi

A distanza di tre anni dal precedente e molto convincente “Passenger” tornano i danesi Mnemic con un nuovo lavoro dal nome ”Sons Of The System”. Nati nel 1998 come una band industrial fortemente influenzata dai Fear Factory post “Demanufacture”, nel corso degli anni, specialmente dopo l’ingresso del singer Guillaume Bideau, la band ha inserito una forte componente melodica, senza comunque mai perdere quell’aggressività che li ha sempre contraddistinti sino ad oggi.

Fin dalle prime note della title-track capiamo che il discorso intrapreso con l’album “Passenger” viene ripreso pari pari e riproposto in questo nuovo capitolo senza grandi sconvolgimenti. Di conseguenza per chi conosce i danesi, o perlomeno per quelli che hanno avuto l’occasione di ascoltare il capitolo precedente, è facile intuire quali siano le caratteristiche presenti in “Sons Of The System”. Così come in passato, la ricetta che prevede sfuriate quasi thrash (sottolineo il quasi), intervallate con momenti melodici, mai troppo scontati ma nemmeno mai così convincenti come fu per “Passenger”, è presente dall’inizio fino alla fine. E’ piuttosto fastidioso continuare a prendere il disco precedente come esempio, ma le somiglianze sono davvero incredibili, sembra quasi di trovarsi al cospetto di brani rimasti fuori tre anni fa e riproposti oggi. Nulla da eccepire su quello che concerne suoni e produzione, ma di questi tempi sembra pure una barzelletta dirlo. L’ultima volta mi erano davvero piaciuti, adesso proprio no.

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ANIMALS AS LEADERS - Animals As Leaders


Prosthetic - 2009
Progressive Metal
Da 1 a 10: tanta, tanta roba (7/8)
Articolo di: Enrico De Domeneghi


Chiunque si trovi ne
lla posizione di dover scrivere di un disco, dal giornalista musicale stipendiato al blogger più scapestrato, dovrebbe riuscire a lasciarsi alle spalle tutta una serie di informazioni, nozioni, definizioni già immagazzinate in precedenza. E tutto per potersi affidarse solo alle sensazioni che il lavoro in esame trasmette. Quel che dovrebbe uscirne, io credo, dovrebbe essere una valutazione soggettiva ed oggettiva ad un tempo. Ligia a quanto la musica fa arrivare alla propria testa; matematica, ma a partire dalle sensazioni dell'io-che-ascolta. Venendo a noi, io di progressive metal conosco ben poco e potrei facilmente liquidare la questione dicendo che Dream Theatre e compagnia bella, pur essendo di sicuro misicisti provetti, mi smaronano non poco. Smantellato il mio inesistente bagaglio di conoscenze, quindi, diamo il via all'esperimento del 'senti e riporta' con l'omonimo di Animals As Leaders.

Uno, prima traccia. Pesantezza prima di tutto, una chitarra solista che detta legge su riffoni alla Meshuggah che, onestamente, non credevo potessero essere accostati al prog. Nessuna vocals. Apertura quasi post-hardcore in finale di pezzo, e brano che cambia direzione resentando certi Isis. Wow, non male davvero. Due. Virtuosismi chitarristici prima di tutto e poca evoluzione complessiva. C'è sotto un guitar hero? Se il disco prende questa piega mi rimangio tutto quanto detto fin'ora. E invece, alla terza traccia, ci si rimette tranquilli, qui si tratta decisamente di (post?)metal prima che di prog.

Album Leaf e Between The Buried sono un'improbabile accostata, ma ben descrivono il procedere di 'On Impulse', quarto pezzo. Viene introdotta la componente elettronica, e molto bene anche, fino ad un finale con gioco di chitarre pregevole. E quest'album continua a non aver bisogno di una cantante, eh. Tregua al quinto step, con un'intermezzo ancora chitarristico che si fa davvero benvolere. Sei, 'Behaving Badly'. Questo batterista spacca (Navene Koperweis, nda). Molto bravo ad inserirsi nella dinamica del brano, tanto da perdere talvolta lo status di strumento ritmico per eccellenza. Ma qui l'eccellenza è fatta dalle stesse chitarre, che hanno in mano le redini quasi sempre e picchiano che è un piacere. La settima traccia tocca di nuovo la sperimentazione: l'elettronica stavolta è decisamente sostanziale, e arriva a fondersi con la stessa batteria acustica. Per opposto, qui è la sezione ritmica a fare da solista. Tutto da rifare su quanto detto prima, ma ottima sensazione di fondo. Sviluppo ed orizzonti musicali mutevoli prima di tutto.

Si continua con un paio di pezzi tra tapping e sonorità math-metal, e qui capisco perchè questi Animals As Leaders condividono il palco con Dillinger Escape Plan, Between The Buried And Me e Veil Of Maya. Per la cronaca, dopo 'Cafo', ottava traccia, mi hanno quasi convinto. Nono brano quasi epico all'inizio, poi più atmosferico e dilatato. Sorprende il blastbeat in conclusione, che apre ad un epilogo di nuovo lontanamente Meshuggah. E io, che mi ritrovo per l'ennesima volta spiazzato sulla definizione di 'progressive metal', ho un sorriso stupido stampato in faccia. La dieci è un pezzo acustico che fa da outro in anticipo, e volgio dire, a questo punto ci sta proprio. Fine album che torna alla pesantezza ragionata e ai tempi dispari cari ai nostri. Thumbs up, e non c'è storia.

Solo in coda, qualche informazione di servizio. Gli Animals As Leaders, combo di Washington DC, fanno perno sul chitarrista Tosin Abasi, che dopo lo scioglimento della creatura Reflux, ha dato ascolto alla Prostethic Records e ha messo insieme questo nuovo progetto filo-solista, già alla seconda convincentissima prova. Dico 'filo' perchè senza i tre compagni, anche l'impatto del virtuoso verrebbe molto molto meno. Mr. Abasi domina, ed è comunque il caso di dirlo, una chitarra ad otto corde gentilemente fornita da Ibanez.

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