martedì 31 agosto 2010

WHYZDOM - From The Brink Of Infinity


Ascendance Records - 2010
Metal Sinfonico (tanta melodia insomma)
Da 1 a 10: Buono! (7.5)
Articolo di: Martina d'Errico



E' piuttosto raro che io mi trovi a parlare bene di un gruppo di metal sinfonico, non per una mia antipatia nei confronti di questo genere ma perchè spesso le band sono tutte somiglianti e neanche particolarmente interessanti. I Whyzdom però, provenienti dalla Francia, mi hanno stupito positivamente; la voce della cantante è duttile e si presta anche alle parti meno "liriche" delle canzoni, stemperando così la pomposità in cui questo genere può facilmente incorrere.
Fra i brani che più meritano nota evidenziamo "The Witness" e "The Power And The Glory", mentre la band non ha ancora molta dimestichezza con le ballate, come si può evincere da "Freedom" che risulta davvero troppo melensa ed eccessivamente lunga.
Nel complesso comunque "From The Brink Of Infinity" rimane un disco più che valido, che finalmente rende il metal sinfonico accessibile anche ai non super-appassionati del genere.


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domenica 1 agosto 2010

RUDRA - BRAHMAVIDYA: TRANSCENDENTAL I

Vic Records - 2009
Black/Death Metal (orientalizzato)
Da 1 a 10: Originale (7)
Articolo di: Martina d'Errico



I Rudra nascono a Singapore, luogo piuttosto insolito per una band blackened death meta, nel 1992. Dopo varie peripezie dovute a diversi cambi di line-up decidono di sciogliersi, salvo poi riformarsi nel 1996 e pubblicare un paio d'anni dopo il disco omonimo di debutto. La parola "rudra" nella religione induista indica qualcuno che urla, strlla, ed effettivamente questo termine si addice alla musica proposta, che come già detto è un mix di black e death metal, reso però più personale da influenze di musica orientale. Questavolta la divinità malvagia non è il solito Satana, che lascia il posto a dèi indiani che donano un sapore esotico, tutto nuovo ma non per questo meno inquietante o "cattivo". Questo album rappresenta il secondo capitolo della trilogia "Brahmavidya", che si concluderà a breve con l'uscita della terza parte.
Un gruppo valido consigliato a chi è in cerca di sonorità un po' diverse.

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lunedì 12 luglio 2010

VENTANA - American Survival Guide Vol.1

Filthy Hands Inc. - 2010

Nu-Metal (i nuovi Slipknot?)
Da 1 a 10: Buono (7)
Articolo di: Martina d'Errico



Ascoltando il disco dei Ventana la parola che più ricorreva nella mia testa era solo una, il nome di un altro gruppo: Slipknot. Approdata poi al Myspace del gruppo ho trovato conferma nel vedere le foto dei componenti con indosso tute e maschere antigas.

Sono rimasta stupita dal fatto che i Ventana non temano di essere bollati come poco originali o addirittura scambiati, ad un'occhiata veloce, per un tributo della band di Des Moines.
Comunque ci pensa la musica a parlare, e parla decisamente bene. Certo, come avrete ormai capito l'originalità non è il loro punto forte, ma quel che fanno lo fanno bene. Seppur sul loro sito indichino l'industrial come genere suonato li trovo più riconducibili all'ondata nu-metal (anche se un po' in ritardo coi tempi), in particolare a quella dei 9 (ormai 8, purtroppo) mascherati. Anche la voce del cantate ricalca in maniera impressionante quella di Corey Taylor e la struttura delle canzoni, il loro essere melodiche e rabbiose allo stesso tempo le collega direttamente a "Vol.3", come se "American Survival Guide" fosse una versione diversa dlo stesso o gli Slipknot avessero deciso di proseguire quel discorso musicale. Ora che questi ultimi sembrano decisi allo scioglimento dopo la grave perdita di Paul Gray, i Ventana possono candidarsi al trono da loro lasciato vuoto, ma forse se le cose non stessero così non sarebbero mai riusciti ad ottere un po' di attenzione. Una nota particolare la voglio dedicare alla cover "Cry Little Sister", colonna sonora del film "Lost Boys", riletta magnificamente in chiave industrial.


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mercoledì 16 giugno 2010

THE PLIGTH - Winds Of Osiris

Visible Noise Records - 2009

Hardcore Punk (condito di hard rock)
Da 1 a 10: Ottimo esordio (7)
Articolo di: Martina d'Errico



I Plight, giovane band inglese, approdano al porto del primo full lenght dopo la pubblicazione di alcuni ep. Nonostante l'età dimostrano di saperci fare e anche molto, proponendo un sound che si rifa al punk hardcore di un paio di decenni fa, ma arricchendolo di una parte strumentale più massiccia e priviliegiata dalle nuove tecniche di registrazione inventate in questi anni, che aggiunguno un retrogusto hard rock al punk di base. I quattro, che sono già stati abbondantemente in tour (UK ed Europa) con gruppi come Gallows e Converge, hanno ricevuto grande supporto dal famosissimo settimanale inglese Kerrang!, supporto del resto pienamente meritato. Hanno infatti un'ottima capacità compositiva, con la quale hanno scritto canzoni veramente bellissime come "Into the Night", "Sick of Dreaming" e "Counting Teeth".
L'album consiste di 12 canzoni, e la seconda parte ha in realtà un leggero calo qualitativo, fatta eccezione per la titletrack, da includere senza meno tra i migliori brani del disco.
Il verdetto è quindi più che positivo, un buonissimo disco perfetto per iniettarsi un po' di carica!


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martedì 1 giugno 2010

GLYDER - Yesterday, Today And Tomorrow



SPV - 2010

Genere Hard Rock
Da 1 a 10: 7,5/10
Articolo di: Maurizio Mazzarella

Dischi come questo dei Glyder, ti donano una forte scarica di adrenalina e ti trasmettono entusiasmo, dandoti a sua volta la possobilità di vivere la vita col sorriso sulle labbra. Provenienti dall'Irlanda, i Glyder si ispirano ad una sorta di hard rock anni settanta in stile Thin Lizzy, senza mai tralasciare band mitiche come i Led Zeppelin, ad esempio, aggiungendo al proprio stile anche qualcosa di più moderno ed attuale.


Nella musica dei Glyder infatti, è facile anche trovare delle tracce degli U2 (e non potrebbe essere altrimenti vista la propria nazionalità), come anche dei The Cult. Ne viene fuori un disco grintoso, carismatico, ma anche molto melodico, dai tratti a volte commerciali, ma sempre affascianti e seducenti in più frangenti. Il disco è composto molto bene, contiene dei pezzi molto intensi ed ispirati, ma allo stesso tempo, anche graffianti ed incisivi, nel classico segno del rock più puro. A prescindere dalla qualità egregia dei singoli componimenti, ci troviamo di fronte anche ad una band con pregevoli doti tecniche. Si, perché anche se nel complesso non ci sono partiture dall'esecuzione difficile, è facile intuire lo spessore artistico dei musicisti coinvolti anche dai semplici tocchi e dalla minima sfumatura. I brani sono versatili e variopinti, hanno un buon impatto e sono di semplice assimilazione. La band strizza l'occhio anche a sonorità più commerciali, è vero, ma ha una propria personalità ed una precisa identità, nel senso che suona quello che vuole con grande piacere, senza vendersi a mode oppure a cose simili, come nel caso di altri gruppi più noti. Buona anche la produzione, appropriata per quella che è la proposta complessiva dei Glyder. Buon disco.

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lunedì 31 maggio 2010

SLASH – Slash

Roadrunner - 2010
Rock'n'roll (con l'alzheimer)
Da 1 a 10: Bleah! (4)
Articolo di: Michele Marinel

Anche se in ritardo non era possibile prescindere dal recensire questa uscita del "fu" chitarrista dei Guns'N'Roses, probabilmente le ultime vere star della storia del rock. E' certo imprescindibile parlare del primo album solista di Slash quanto è imprescindibile essere onesti e dire le cose come stanno, come nessuno pare avere il coraggio di dire: questo disco è un'emerita cagata!

Tredici pezzi di rock'n'roll senza più grinta né verve, che per suscitare qualche interesse devono costellarsi di ospiti illustri, ma né l'ormai mummifico Ozzy, o i bad "boys" Iggy e Lemmy (se mi chiedete i cognomi vi sputo!) possono salvare un disco in cui, sostanzialmente, mancano le canzoni, anche se i succitati singer si aggiudicano probabilmente gli unici tre pezzi degni di nota del disco.
Una serie di riff rock blues, con qualche incursione nel folk-country americano e una divagazione pseudo metal che è meglio dimenticare, ci consegnano uno Slash ormai spompato, che brilla ormai solo negli assoli, sempre gustosi.
C'è da dire che il Nostro non è mai stato, per davvero, un grande guitar hero, la sua forza è stata, agli esordi, la capacità di scrivere pezzi trascinanti, che hanno segnato la storia del rock, una forza però che probabilmente era data da una speciale alchimia con l'amico-nemico Axl Rose. Alchimia che si è spezzata all'epoca e che, divisi, Rose e Pistole non hanno saputo ricreare, tant'è che negli ultimi 17 anni ci siamo sorbiti la medicorità di Slashes Snakepit prima e Velvet Revolver poi, mediocrità culminata quest'anno con questo disco solista di Slash da una parte e l'attesissimo, quanto pessimo, "Chinese Democracy" dall'altro.
Delusione totale.


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sabato 29 maggio 2010

GROEZROCK 2010 - Meerhout, Belgio - 23/24 Aprile

Articolo di: cece



Se dal 1992 allo scorso anno il Groezrock (Meerhout, Belgio) si era guadagnato il titolo di miglior festival HC, punk-rock, emo, alternative d’Europa; quest’anno è stato votato, attraverso la rete web, addirittura come miglior festival mondiale. E’ anche questo un buon motivo per tornare a curiosare, partecipare e a documentare il grande evento anche perché, va detto, di carne al fuoco in questi due giorni d’aprile ce n’è davvero tanta, vedere per credere:

Venerdì 23 aprile:
Hatebreed, Face To Face, The Mighty Mighty Bosstones, Saves The Day, Sunny Day Real Estate, Glassjaw, Agnostic Front, Banner Pilot, Alesana, The Real McKenzies, The Friday Night Boys, Haste The Day, This Is Hell, A Skylit Drive, The Swellers, Adept, Oh Sleeper, Young Guns, Grey Like Masquerade

Sabato 24 aprile:
Bad Religion, Sum 41, Pennywise, AFI, Lit, Story Of The Year, Parkway Drive, The Bouncing Souls, 88 Fingers Louie, H2o, The Bronx, Snapcase, The Aggrolites, Good Clean Fun, Born From Pain, Strike Anywhere, Despised Icon, A Wilhelm Scream, Zebrahead, Mustard Plug, Dance Gavin Dance, Winds Of Plague, Rise And Fall, Strike Number 8, Pour Habit, Mute, The Warriors, Stick To Your Guns, Static Radio, In Fear And Faith, Defeater, 50 Lions, Asking Alexandria, Miriachi El Bronx, Mc Lars.

La scaletta, suddivisa su tre palchi, accontenterebbe chiunque, di qualsiasi età, preferenza musicale, genere e generazione, peccato che il 2010 verrà ricordato dai posteri come l’anno del “risveglio dei vulcani”. Fatto sta che, per colpa delle forze della natura scatenatesi nella non così lontana Islanda e del conseguente blocco dei voli da parte di tutte le compagnie aeree esistenti, alcune band hanno dovuto rinunciare allo show proprio il giorno prima del festival. Ma anche questa è storia… I nomi ahimè erano davvero importanti anche perché un concerto dei Saves The Day era e resta tuttora uno dei miei più grandi sogni nel cassetto.
Per quanto riguarda gli altri assenti, lacrime anche per l’assenza dei Sunny Day Real Estate, da segnalare anche l’impossibilità di giungere in Belgio per Hatebreed, Oh Sleeper e Stick Your Guns. La missione di tamponare questa la ferita è stata affidata a Millencolin (la notizia renderebbe felice anche chi non li conosce), Holding Onto Hope, Caliban e The Ghost Of A Thousand. A conti fatti, con o senza l’intervento del vulcano, questa edizione fa sicuramente meno gola della precedente ma la voglia di Groezrock è sempre alle stelle quindi ci mettiamo in marcia senza indugio.

Day 1:
Dopo 13 ore di autostrade e percorsi che solo il Belgio nel bene e nel male può offrire resta qualche ora di tempo per piazzare le tende e riposare qualche ora prima d’inoltrarsi nel grande circo. Detto - fatto, sono le ore 17.00 quando, riconosciuti come la “Italian Press”, ci presentiamo puntualissimi, tra volti più o meno noti, al grande evento.
A tagliare il nastro dell’edizione Groezrock 2010 sono i The Swellers la cui esibizione risulterà infine una delle migliori dell’intera manifestazione, carichissimi, davanti ad un pubblico già a quell’ora vasto e sorprendentemente entusiasta davanti a degli esordienti (primo tour europeo della loro carriera), per saperne di più rimando i lettori all’intervista che abbiamo avuto occasione di fare loro in seguito.
Dopo l’intervista, i saluti ed i convenevoli della Press-Area, riusciamo a ritagliarci uno squarcio di tempo per fare un giro nei vari tendoni e stand di ogni tipo, dai gastronomici a quelli di abbigliamento, passando inevitabilmente per la musica. Su tutti una nota di merito va ad Etnies con i suoi due stand, i suoi gadget ed il suo staff di tutto rispetto.
Ma ora affrettiamoci a prender posto sul palco perché, anche se già visti e rivisti più e più volte, non si possono tralasciare i Millencolin, ci sarebbero intere pagine da scrivere su di loro, i concerti ed i festival ai quali hanno partecipato sono infiniti come l’affetto che si è creato attorno a loro da parte di tutti, pubblico e gruppi, li hanno chiamati all’ultimo, ancora una volta hanno fatto scuola, toccata e fuga vincente.
La fine dei Millencolin coincide con l’inizio degli Alesana, la sensazione che si prova è strana un po’ come mangiare un unghia di cane dopo aver mangiato una pizza calda; altro palco, altro pubblico, altra musica. Potrei spendere altre parole per gli Alesana, descrivendo ad esempio le loro movenze da impediti sul palco o la loro performance penosa senza il supporto di un produttore come in accade studio, potrei ma non voglio infamarli in fondo sono ragazzi simpatici, un po’ ingenui ma simpatici, fanno anche un pochino di tenerezza.
Ma torniamo nel Main-Stage, i Glassjaw sono infuocati! Questi urlavano quando molta della gente sotto al palco o sopra quello affianco (vi voglio bene Alesana), erano all’asilo e strillavano per altri motivi. Prestazione davvero superba la loro, sudore, rabbia, repressione e tanto cuore.
Tra un concerto e l’altro non ho ancora trovato il tempo per metter piede nello stage più “piccolo” Etnies-Stage, che è in realtà il più spettacolare con il palco alto poco più di un metro ed il pubblico a diretto contatto con la band e non poteva esserci occasione migliore di uno show dei Banner Pilot per confermare quest’aspettativa. Pare che il pubblico belga apprezzi molto più di noi italiani la scena punk-rock, non che io lo trovi strano, ma fa un certo effetto vedere un nuovo acquisto a mio parere semi-sconosciuto della Fat Wreck Chords, generare tanto furore e scatenare una catena di stage diving lunga quanto l’intero concerto, una favola.
Che nessuno me ne voglia ma non sono mai stato un accanito fan dei Face To Face, più che altro perché non ho mai approfondito il discorso, credo comunque che vedere una delle leggende del punk abbia sempre qualcosa da insegnare, se non altro fa curriculum. Il risultato è stato positivo, sopra le mie aspettative. Non ricordavo di conoscere così tante delle loro canzoni inoltre l’età non intacca la loro voglia di far del casino e non credo abbiano fatto un singolo errore, mi dispiace solamente non essere riuscito a vederli fino alla fine per colpa della sovrapposizione di orario con i The Friday Night Boys che mi ha costretto a tornare nel Etnies-Stage. A volte la curiosità e le aspettative rovinano un evento, ed è questo il caso dei TFNB, discreto il loro pop-punk su disco, orripilante dal vivo, scendendo brevemente nei dettagli questa è musica di facile fattura ma sono riusciti lo stesso a fare ribrezzo, mi è dispiaciuto.
Affrettandomi riesco ad assistere all’ultima mezzora per i Funeral For A Friend, questa screamo-rock band inglese non mi ha mai esaltato, non è nemmeno la prima volta che li vedo suonare ma devo constatare che la cosa mi lascia piuttosto indifferente... Punti di vista.
Ai Mighty Mighty Bosstones ai quali è affidato il compito di chiudere il primo giorno di festival, preferisco la birra belga e la mia scomoda tenda quindi per una volta sventolo bandiera bianca e cerco di ricaricarmi il più possibile per l’indomani.

Day 2:
Nonostante la stanchezza, dopo 48 ore senza riposo tra viaggio e concerti, il sabato mattina non richiede l’intervento della sveglia, a costringere tutti ad alzarsi è infatti il sole che, a differenza di quanto visto fino ad allora in Italia, ha deciso di farsi valere trasformando le tende in vere e proprie saune e distribuendo scottature e abbronzature permanenti per tutto il giorno, evidentemente madre natura ha pensato di mettere una pezza sui suoi danni.
Saltando allegramente la parte Brutal-Core del festival con Asking Alexandria, In Fear And Faith e The Ghost Of A Thousand che per altro avevo già avuto il disonore di vedere qualche settimana prima, ci presentiamo puntuali alle 12:30 in un Main-Stage non certo gremito di persone per assistere alla nostra prima scelta della giornata ovvero MC Lars. Hip-hop, rap ma anche tanto punk-rock nelle sue inusuali canzoni, per l’occasione la formazione comprende, oltre al leader MC Lars, un rapper afro-americano che canta a scheggia, un chitarrista che scratcha sulle corde della chitarra (se non avete capito cosa significa è del tutto comprensibile) ed il resto della band composta da membri degli Zebrahead (le due band erano in tour europeo insieme), il tutto condito dalle basi di un Mac a bordo palco. Il risultato è sorprendentemente positivo, le canzoni dal vivo sono ancora più godibile rispetto al disco, la sfrontatezza di quei ragazzi e la loro capacità di coinvolgere pian piano li appaga riempiendo il tendone tra rappers, punk e metallari allibiti. A lui la statuetta di concerto più divertente del festival.
Giusto il tempo per cambiare metà palco ed è il turno degli Zebrahead, la mia eccitazione nel vederli è sfumata dopo le prime tre volte e, a dirla tutta, di giocare con loro ad “abbassatevi tutti e al mio tre saltate” non avevo una gran voglia e così, retrocedendo di una trentina di metri me li sono canticchiati dalle retrovie.
Una settimana dopo la data di Cesena, ecco che mi ritrovo davanti, o meglio affianco ai Dance Gavin Dance, non ho mai perso la testa per questa band, ma gli avevo promesso la mia presenza. Precisi, tecnicamente impeccabili e potenti, è stato fantastico rivederli.
Tanto per rimanere sul “tecnico” a far sbordare di gente il tendone Eastpack-Stage ci pensano gli A Wilhelm Scream. Il loro show ha la particolarità di lasciare ad occhi aperti il pubblico dall’inizio alla fine. Veloci all’inverosimile ma al contempo precisi come un orologio della NASA; ogni volta ne esco esterrefatto, tanto che mi accorgo di essermi perso i primi 25 minuti degli 88 Fingers Loiue! Arrivato comunque in tempo per i pezzi più importanti assisto per la prima volta ad un concerto dei veterani della scena Melodic-HC made in Chicago. Dalle loro note si sente tutta l’esperienza ed il carattere di chi ha contribuito a creare un genere musicale socio-politico tanto forte da diventare una corrente di pensiero… Nonostante tutto sono ancora lì, non possiamo far altro che applaudire. La mia improvvisata organizzazione richiede una sosta per godersi sole, mexican-burger e birra ma la fase rifornimento deve essere da competizione perché mancano solo 20 minuti al momento dei The Bouncing Souls. E’ quasi un peccato vederli suonare solo tre quarti d’ora, sono troppo godibili ed hanno troppi ma proprio troppi pezzi belli per poterne tagliar fuori qualcuno, ad ogni modo con “Lean On Shena” sono riusciti a mettere d’accordo tutti, brividi e sing-along.
Arrivato il turno dei Lit vado ad accaparrarmi un posto di tutto rispetto a bordo palco per seguire da vicino, con onore, coloro che hanno posto le basi del punk-rock moderno. Raffreddate subito gli animi perché i Lit non sono come li immaginate, o forse sbagliavo io a pensare di trovarmi di fronte a dei musicisti e non dei pagliacci. Non voglio smontarli del tutto, anche perché quello che hanno fatto in passato fortunatamente resta indelebile ma vederli oggi conciati come dei pop-punkers da TRL, atteggiati e sbruffoni, mi ha a dir poco deluso. La prestazione live sembra non contare molto, tutto è incentrato sul resto, sul look e sulle coreografie composte da salti e movenze prevedibili, fastidiose e a volte impacciate. Non volevo arrivare a questo ma… Si sono bevuti il cervello.
Altra band attesissima, altra delusione; questo è il turno dei Sum 41. La band canadese nonostante la fama e la vita da star non ha mai smesso di fare buona musica toccando il suo momento migliore con l’album “Chuck” che si può definire un mini capolavoro. Ho fatto questa breve premessa per esaminare la loro recente disfatta: il successivo ed ultimo disco “Underclass Hero” non è affatto male ma lascia intuire la direzione di questo gruppo che, passato da quartetto a trio, abbandona molto del suo valore per strada facendo un grosso passo indietro. Tale involuzione dal vivo si traduce in noia e banalità. A questo c’è poi da sommare l’inefficienza del cantante Deryck Whibley, troppo poppy per suonare del punk e troppo punkettone per fare del pop, rimasto senza voce e senza identità, cerca di imitare Billie Joe Armstrong con scarsi risultati. Tra una canzone e l’altra sono stati capaci di infilare decine di minuti per rifiatare con silenzi assoluti o tempi morbidi di batteria accompagnati da lunghi accordi. Pessimi.
Uno sguardo all’esterno, si fa quasi sera e possiamo constatare una presenza di partecipanti al festival molto inferiore rispetto a quella della passata edizione ma non voglio scoraggiare ne demotivare l’organizzazione di questo festival ragion per cui attribuisco la colpa di tutto ciò al vulcano islandese con tutti i problemi di spostamenti che ha causato, posso farlo?!
“Per fortuna gli AFI non deludono mai”, diceva un belga alle mie spalle e come dargli torto?
Certo le loro cantilene dopo svariati ascolti non hanno più l’impatto delle prime volte e la voce di Davey Havok alla lunga risulta tediosa ma dal vivo non gli si possono trovare difetti. In Europa per presentare la loro ultima fatica “Crash Love”, gli AFI fanno tappa al Groezrock con fare professionale ed una scaletta che non riporta alle loro origini ma risulta comunque genuina per innovazione e caparbietà.
Passiamo ora al grande dubbio che ci affligge da fine 2009: come se la caverà Zoli Téglàs in veste di nuovo cantante dei Pennywise? La risposta la dà lui stesso con una perfomance strepitosa. Se con gli Ignite può dar sfogo alle sue immense doti vocali arrivando in alto fino al cielo e spesso oltre, con i Pennywise, Zoli cambia impostazione vocale, avvicinandosi il più possibile al vecchio leader Jim Lindberg che ha da poco lasciato la band per dedicarsi alla famiglia. Certo la band, nella sua totalità, da sempre offre uno spettacolo di tutto rispetto ed è inevitabile che, senza l’acclamato Jim i californiani non saranno mai agli stessi livelli ma la sostituzione si può definire “ben azzeccata”.
Persi gli H2O per mancanza del dono dell’ubiquità, mi dirigo al palco medio che chiuderà i battenti con gli Story Of The Year. Sapevo già cosa aspettarmi da loro, solita scaletta (con l’aggiunta di qualche pezzo del nuovo album), soliti salti, piroette e decine di loop a ripetizione, d’altronde è questo che pretendo che facciano e, ancora una volta, mi hanno accontentato.
Il ruolo di headliner del Groezrock 2010 lo giocano ovviamente i Bad Religion, con tanto di fascia da capitano, indiscutibile la loro posizione che, per molte delle band presenti, è soprattutto quella di allenatore. Mastodontici, precisi, esperti e disinvolti danno l’impressione di essere lì tanto per divertirsi quanto per impartire a tutti una severa lezione, d’altro canto, vedere i Bad Religion dal vivo equivale ad aprire un libro di storia, studiare e capire il perché di tutto quel che è successo dopo. Che vi piacciano oppure no i fatti sono quelli… Il maestro è sul palco, apriamo occhi e orecchie, impariamo.
Tutto finisce all’una spaccata, la mentalità e la disciplina belga, come da manuale, impone ai partecipanti il rientro immediato e, in men che non si dica, tutto lo spazio del Groez si trasforma in un parco fantasma, con noi italiani unici a finire la nottata al bar tra festeggiamenti e brindisi multietnici.

Esperienza decisamente positiva questo ritorno in Belgio che, ancora una volta, lascia a me e agl’altri ragazzi dell’ Italian Press la porta spalancata per il 2011, per concludere ritengo doveroso sottolineare la competenza dello staff del Groezrock, sia per quanto riguarda la parte burocratica, di amministrazione del sito web ed informativa, sia per quanto riguarda quella tecnica ed organizzativa presente all’interno del festival e della Press-Area. Per un italiano è impensabile che un tale evento inizia e finisca senza nessuna sbavatura, questo mi fa pensare: è bene che si svolga tutto lassù nella non più sconosciuta Meerhout.

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sabato 22 maggio 2010

THY DISEASE – Anshur-Za

Mystic Production - 2009
Goth-pop-death metal
Da 1 a 10: Coraggiosi ma con riserva (7)
Articolo di: Michele Marinel

Pubblicato nel 2009 giunge sui lidi italici solo quest'anno il quinto studio album del combo polacco che si mostra in gran forma e che riesce a stupire grazie ad una miscela originale di generi che, sulla carta, dovrebbero fare a pugni l'uno con l'altro.

Essendo polacchi, manco fosse un tratto tipico della cultura popolare, i nostri suonano un violento death metal dal buon tasso tecnico, che prende le mosse dal verbo dei padri Morbid Angel, con quei riff lancinanti e pesantissimi, su cui si innestano qua e là melodie anche dal sapore mediorientale che portano i nostri in territori cari ai Nile ed ai connazionali Behemoth. Un assalto sonoro di tutto rispetto che viene spezzato da arrangiamenti goticheggianti, tastieroni e momenti melodici con inserti di voce pulita.
E proprio qua sta il problema. Se le parti propriamente death sono intense, elaborate e graffianti mentre il lato più gothic è intelligente e mai scontato, a tratti raffinato, le clean vocals lasciano molto a desiderare. Peccato perchè in coda all'album due cover ("Sinner In Me" dei Depeche Mode e "Frozen" di Madonna) mostrano da dove vengano i retaggi più morbidi della band. Connubio blasfemo viste le radici metalliche del combo? Forse si, ma il risultato e il coraggio della commistione non sono per niente da buttare, anzi.
"Anshur-Za" è un disco che scorre via in maniera piacevole, pesante ma allo stesso tempo fruibile, con variazioni che stupiscono e con un amalgama che funziona. Migliorate le voci pulite questo disco sarebbe ottimo.

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giovedì 20 maggio 2010

LEVI/WERSTLER - Avalanche Of Worms

Magna Carta - 2010
Instrumental
Da 1 a 10: 7/10
Articolo di:
Salvatore Mazzarella

Levi / Werstler è un progetto totalmente strumentale formato dai chitarristi dei Daath Eyal Levi ed Emil Werstler. Questo lavoro ne segna il debutto a cui partecipano, tra le altre cose, in veste di batterista Sean Reinert dei Cynic oltre a Kevin Scott al basso ed Eric Guenther alle tastiere.

Di solito gli album strumentali possono risultare noiosi,cervellotici,una mera esibizione di tecnica che può solo interessare solo i maniaci delle cascate di note dalla sei corde…Bè per questo disco le cose non stanno proprio così! E’ vero che non si può non notare la smisurata tecnica dei due axeman ma è anche vero che eccezionalmente non viene mai persa di vista la melodia, insomma abbiamo a che fare con ‘canzoni strumentali’ seppur con molte variazioni musicali all’interno dello stesso brano.Provate ad ascoltare ‘In Amethyst Through Malavide’ per averne la prova. Tra tutti i brani inoltre spiccano l’opener ‘Noxious Vermin,My Friend’ e ‘Loathsome Little Fiend’ con quest’ultima che esibisce le due chitarre intricatissime,intermezzi atmosferici e momenti musicali di matrice progressive. Insomma,con un po’ di volontà,quindi senza preconcetti, e predisposizione l’album si lascia ascoltare con piacere e d’altro canto 41 minuti sono la giusta durata per non scadere poi nella noia che,vi assicuro, non mi ha per niente sfiorato. Se vi piacciono i Daath oppure i bravi chitarristi con ottima tecnica ma anche tanto gusto questo cd fa per voi.

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THE FORESHADOWING – Oionos

Cyclone Empire - 2010
Metal Gotico (boobs free)
Da 1 a 10: Che tristezza... e vai così! (8)
Articolo di: Michele Marinel



C'era una volta il gothic metal... poi sono arrivati i Theater Of Tragedy (che ancora ci stavano dentro) e da lì in poi è stato il deliro!
Per chi guarda con nostalgia uno dei lati più oscuri degli anni '90, scevro da caproni, boschi nordici e ammazzamenti vari, ma ricco di angosce e di afflato poetico, i The Foreshadowing sono la band giusta.

Il combo italico, composto da gente che milita ho a militato in band come Klimt 1918, Spiritual Front, Dope Star Inc. e How Like A Winter, ha debuttato nel 2007 per Candlelight e a 3 anni da quell'ottimo disco giunge il secondo lavoro, pubblicato questa volta dalla tedesca Cyclone Empire.
"Oionos" prosegue quanto iniziato con il suo predecessore, snocciolando 11 pezzi dal sapore polveroso e dall'incedere indolente. Qui ad essere gotica è l'atmosfera, assolutamente decadente e malinconica, un procedere a tentoni nella penombra. Tempi medi, con qualche accelerazione ma mai marcata, riff semplici ma non scontati, impreziositi da eleganti arrangiamenti.
Il combo riprende la nobile tradizione di quella che fu la scuola doom death inglese che poi evolse nel gothic propriamente detto (prima della degenerazione di cui sopra). Sono chiari i riferimenti ai prime mover del genere, così tra le note dell'album riecheggiano i primi Paradise Lost come gli Anathema antecedenti alla svolta rock, senza dimenticare i My Dying Bride con la loro vena disperata.

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martedì 11 maggio 2010

CRIME IN STEREO - I Was Trying To Describe You To Someone

BRIDGE NINE - 2010
Indie-Rock nostalgico e quasi maschio
Da 1 a 10: Da 1 a 10: piacevole (6,5)
Articolo di: Enrico De Domeneghi


In linea con la recente tendenza da parte di alcune tra le label più importanti in ambito metal e punk ad esplorare anche territori più soft, ecco la proposta filo indie-rock di Bridge Nine, etichetta da sempre sinonimo di hardcore in senso stretto.

Operazione riuscita comunque, perchè i Crime In Stereo sono una band piuttosto particolare, capace di andare a reinterpretare suoni che sembravano essere scomparsi definitivamente. 'I Was Trying To Describe You To Someone' suona indie targato Revelation fine '90, richiamando nomi che hanno dato il via ad un'intera scena, Sunny Day Real Estate su tutti. 'Drugwolf', 'Type One' o 'Republic' sono pezzi costruiti su linee di chitarra scarne ma molto efficaci, con cambi apparentemente azzardati che si capiscono in pieno solo al secondo ascolto ed una voce sofferta quasi mai lagnosa che fu il marchio di fabbrica di certo emo-indie-screamo caduto oggi nel dimenticatoio. I toni si accendono maggiormente in un paio di robusti pezzi rock sparsi nel disco, e anche qui il mood che si crea è godibilissimo e la proposta è riletta in chiave personale. Punto debole, invece, le divagazioni più sperimentali. I riff ripetitivi e i ritmi lenti non si addicono proprio ai Crime In Stereo, band nata in territori più immediati e capace di dare il meglio solo approcciandosi in maniera diretta all'ascoltatore. 'Young', infine, mi ricorda nell'impostazione vocale e non solo, i nostri Settlefish. Intendiamoci, dubito che 'I Was Trying To Describe You To Someone' entrerà di diritto tra le uscite fondamentali della Bridge Nine, ma è pur sempre un lavoro dignitoso che si candida come possibile punto di legame tra presente e passato musicale, uno stimolo ed un'opportuntà per addentrarsi nel bozzolo oggi in penombra di quello che fu l'emo nella sua fase dignitosa.

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STORMZONE - Death Dealer

SPV - 2010
Heavy Metal

Da 1 a 10: 8/10
Articolo di: Maurizio Mazzarella

Attivi dal 2005 e provenienti dalla Gran Bretagna, gli Stormzone giungono con questo nuovo "Death Dealer", edito per la SPV, alla pubblicazione del loro secondo lavoro in studio, facendo ritorno sul mercato discografico a due anni di distanza dal disco d'esordio "Caught In Act". Musicalmente siamo nel campo dell'heavy metal e qui non ci sono equivoci, ne mai si va fuori binario. Gli Stormzone tributano il meglio della N.W.O.B.H.M. e lo fanno in ogni nota di "Death Dealer" e per tutta la durata dell'album. E lo fanno anche in modo meraviglioso.

C'è molto degli Iron Maiden, lo si sente in ogni assolo ed in ogni cavalcata di chitarra. C'è molto di un grandissimo album come "The Number Of The Beast" ed a volte si odono echi dei grandi classici della Vergine di Ferro, in particolare di quelle splendide perle musicali dal titolo "Heaven Can Wait" ed "Hallowed Be Thy Name". Far rivivere le emozioni che donano brani di questo tipo non è facile, eppure gli Stormzone riescono in questa impresa. Ma non c'è solo l'influenza degli Iron Maiden in "Death Dealer", c'è anche quella dei Saxon, come quelle dei Samson e dei Judas Priest. Attenzione però, non stiamo parlando di una band che clona altre formazioni, ma di un gruppo che s molto bene quello che vuole e lo ottiene con grande personalità, manifestando un'identità molto precisa. Fracamente "Death Dealer" è un disco che dona entusiasmo, che trascina, che coinvolge e che seduce anche in un certo senso. Da un punto di vista prettamente tencico, il livello di "Death Dealer" è molto elevato, soprattutto per quanto riguarda il lavoro delle chitarre, ma anche da punto di vista compositivo siamo di fronte ad un prodotto di grande qualità. "Death Dealer" è doato di brani versatili e dall'impatto molto forte, dalla presa facile e dalla portata notevole, è impossibile non apprezzare un disco di questo tipo. Chi lo fa è solo un superficiale. Anche la produzione è molto buona, "Death Dealer" giova si un suono molto moderno ed attuale, un aspetto che gli dona ulteriore lustro e qualità. Gran bel disco, gli amanti di queste sonorità farebbro bene a farci un bel pensierino.


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DERDIAN - New Era Pt. 3 - The Apocalypse


Label Magna Carta - Anno 2009 Genere Power Metal Da 1 a 10: 8/10 Articolo di: Maurizio Mazzarella

I Derdian sono una band che ormai non ha più bisogno di alcuna presentazione. Attivi dal 1998, quindi da circa dodici anni e provenienti dalla città di Milano, la band lombarda giunge con questo nuovissimo "New Era Pt. 3 - The Apocalypse", edito per la nobile etichetta Magna Carta, alla pubblicazione del proprio terzo album in studio facendo ritorno sul mercato discografico a tre anni di distanza dal precedente "New Era Pt. 2 - War of the Gods".


Musicalmente i Derdian affondano le proprie radici nel power metal di tipo sinfonico ed ascoltando il disco, come anche i lavori precedenti del combo milanese, verrebe facile accostarli ai nostrani Rhapsody Of Fire (o solo Rhapsody per i più nostalgici) di Luca Turilli. In effetti i punti in comune ci sono e sono una moltitudine, ma questo non cancella il grande e notevole talento dei Derdian, una band dalle qualità straordinarie e dall'incredibile spessore artistico. Senza mezzi termini, possiamo quindi affermare che "New Era Pt. 3 - The Apocalypse" è davvero un grandissimo disco, colmo di momenti virtuosi e variopinti, di grandissime cavalcate di chitarra, di momenti intensi ed incisivi, ma anche di frangenti energici e poetici allo stesso tempo. Siamo di fronte ad un disco che rasenta il capolavoro, composto da brani pomposi, dalla portata notevole e dall'impatto molto forte, complessi da un punto di vista compositivo, ma anche molto semplici d'assimilare, a conferma delle immense capacità tecniche di questo gruppo lombardo. Ottima anche la produzione, perfetta per lo stile dei Derdian, ma anche capace allo stesso tempo di donare a "New Era Pt. 3 - The Apocalypse" un suono molto moderno ed attuale ed anche di prospettiva in un certo senso. Cosa che poi balza immediatamente agli occhi, sono i notevoli e consistenti passi in avanti fatti dai Derdian rispetto anche al solo disco precedente, un gruppo che con "New Era Pt. 3 - The Apocalypse", dimostra di aver raggiunto la maturazione di definitiva e di poter competere chiunque senza problemi sul piano internazionale con l'obiettivo di raggiungere un folto numero di consensi. Poche parole, se amate questo genere questo disco fa assolutamente al caso vostro. Non lasciatevelo scappare!!!

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giovedì 6 maggio 2010

SICK OF IT ALL – Based On A True Story


Century Media - 2010
ACCACCISENZARIMORSO!
Da 1 a 10: La vecchia scuola ha sempre (e comunque) ragione! (8)
Articolo di: Michele Marinel

Ci sono dei gruppi che, nel bene o nel male, sono delle garanzie. I Sick Of It All sono uno di questi gruppi. La band di New York è forse la più fiera portabandiera dell'hardcore cittadino insieme agli inossidabili Agnostic Front, e il nuovo "Based On A True Story" non fa che riconfermarne tutto lo spessore.

Si potrebbe discutere per ore sul senso di fare un album che, suoni a parte, potrebbe essere stato fatto uno o due decenni fa. D'accordo, la staticità dei SOIA non è in discussione, ma se ad alcuni gruppi è dato il compito di evolvere un genere, ad altri è dato quello di mantenerlo ancorato alle proprie radici ed è quello che i nostri sanno fare meglio. Questo disco è tutto quello che vi potete aspettare da un disco di HC newyorkese, un assalto diretto, violento, senza fronzoli. I riff sono semplici, minimali, tanti muscoli e cervello quel che basta. Sudore in abbondanza ma anche odore di asfalto, il grigio dei quartieri bassi, lo smog pesante, l'afrore di cipolla dei baracchini di hot dog, le grida sguaiate dei quartieri italiani, di quelli ispanici come di quelli neri, il traffico, i claxon, le chiacchiere dei taxisti e Manhatthan lontana, molto lontana, sullo sfondo.
Ma sto divagando. Atmosfere a parte il disco è una figata, dritto come un mattone che ti piove in testa da un palazzo in costruzione e altrettanto pesante, ma capace anche di un paio di momenti quasi festaioli con cori singalong che ricordano quasi quasi l'Oi!. Come ci si può aspettare le ritmiche sono serrate e lineari, le chitarre ruvide e lineari, la voce abrasiva come non mai. Tutte cose già sentite? Altrochè. Il bello è che le si sentono sempre volentieri e che questi vecchietti le sanno raccontare sempre bene.


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giovedì 22 aprile 2010

INTERFERENZE - V 1.1 V 1.2

Pirames International - 2010
Electro Rock
Da 1 a 10: Un buon inizio (7)
Articolo di: Martina d'Errico


Disco d'esordio per gli italianissimi "Interferenze", la cui musica, un electro rock piuttosto fresco, fa riferimento a band come Depeche Mode e Bluvertigo.
In comune con questi ultimi, oltre alla linea generale delle canzoni e dello stile proposto, ci sono anche i testi in italiano, cosa abbastanza rara nell'ambito della musica "alternativa" che in genere preferisce l'inglese, una lingua più adattabile al canto. Il risultato comunque è molto buono e la band riesce a coinvolgere l'ascoltatore fin da subito, grazie a brani come "La Resurrezione", "Indelebile" e "Indivisibile". Si nota però una certa ripetitività, specialmente nella struttura delle canzoni che seguono quasi tutte un modello prestabilito, ma si tratta pur sempre di un esordio e possiamo quindi ben sperare che gli Interferenze, con tempo ed esperienza, matureranno una composizione più varia e articolata. Oltre alle undici canzoni del disco troviamo allegato un secondo dischetto di sei tracce (intitolato V 1.2), precisamente remix cantanti in inglese, e quindi più accessibili anche ad un pubblico estero. Tuttavia il totale di diciotto canzoni risulta un po' pesante da ascoltare tutto in una volta, quindi consiglio a chi si sia incuriosito di ascoltarlo in due tempi per evitare l'effetto "il troppo stroppia".

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lunedì 19 aprile 2010

WOODLAND - Dreamality


CCP Records - 2009
Folk Metal (domina la tinta progressiva)
Da 1 a 10: approccio originale, va rifinito meglio per colpire (6)
Articolo di: Simone "M1" Landi


Vengono dalla Germania questi Woodland e si cimentano in un folk metal piuttosto quadrato a tinte progressive che fa dell'elaborazione e dei molteplici spunti il proprio punto focale. Dimenticate quindi le partiture extra catchy dei Korpiklaani o il troll metal dei Finntroll perchè con "Dreamality" ci troviamo su coordinate molto differenti.

La musica è corposa e si avvale di tre differenti tipi di cantato: growl maschile, pulito maschile e pulito femminile, utilizzati a seconda delle situazioni. Le variazioni ritmiche o tematiche sono presenti pressochè ovunque, così come i cori o i duetti vocali (che mi hanno ricordato qualcosa dei Beholder), rendendo i brani elaborati ma non abbastanza diretti, per quanto le strutture non siano mai eccessivamente arzigogolate.
Fra le diverse influenze riproposte abbiamo le accelerazioni di stampo power di "Nachtgesänge", l'aggressione tipicamente svedese e melodic death di "Warriors", senza dimenticare la voglia di epico di cori viking/epic. Logica conseguenza di questa varietà stilistica è il mood dei pezzi che va dal malinconico di "Abendsonne" sino all'aggressività della opener passando per sfumature intermedie.
Qua e là spuntano imprecisioni che frenano il disco come il lavoro caotico della batteria quando si tratta di alzare i giri del motore, oppure scelte vocali che stemperano troppo l'atmosfera creata ad opera spesso delle female vocals. Il limite più grosso di "Dreamality" però sta nel fatto di non possedere alcuna singola canzone che colpisca, che rimanga impressa e spinga per essere riascoltata.
In definitiva quindi l'approccio "elaborato" dei Woodland è da accogliere come un qualcosa di positivo, per la volontà di non ristagnare in rigidi confini stilistici ma il lavoro a livello di songwriting va affinato ulteriormente per riuscire ad emergere dall'anonimato. A questo proposito un futuro secondo album sarà dirci qualcosa di più.

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domenica 18 aprile 2010

TRIPTYKON – Eparistera Daimones

Century Media - 2010
Avantgarde:Extreme:Genio
Da 1 a 10: (10)
Articolo di: Michele Marinel

Bisogna stare attenti con Thomas Gabriel Fisher, l'artista svizzero ci ha abituati a grandi balzi in avanti come fece ai tempi con i suoi (seppur rozzi) Hellhammer o con i primi grandissimi Celtic Frost, come a sonori capitomboli come con gli ultimi album della prima incarnazione della sua formazione più nota, a svarioni non indifferenti come quello a nome Apollyon Sun, e a grandi resurrezioni come accadde con il ritorno sulle scene dei Frost qualche anno fa.

Ora diciamocela tutta, chi non ha pensato che il nostro beniamino si fosse di nuovo sputtanato abbandonando di nuovo i CF e facendoli nuovamente naufragare nell'blio dopo un ritorno con i controcazzi con lo splendido "Monotheist". Al sottoscritto il dubbio era venuto e penso anche a voi.
Quando annunciò il ritorno sulle scene con una nuova band la speranza era tanta, la preoccupazione anche. Ora che ci ritroviamo in mano il primo vagito dei suoi nuovi Triptykon possiamo tirare un sospiro di sollievo: questo disco è una bomba!
Inutile stare qua a spiegarvi questo lavoro pezzo per pezzo, sarebbe svilente per un'opera del genere. Basti sapere che questo progetto musicale è realmente la prosecuzione della migliore tradizione celticfrostiana e anche qualcosa di più, una riesumazione di tutto ciò che è stato Fisher in musica, dagli Hellhammer in avanti, driblando le cazzate fatte in passato e portandosi dietro la propria eredità migliore, ma allo stesso tempo proiettandosi in avanti.
Indefinibile a livello stilistico "Eparistera Daimones" racchiude in se tutto ciò che è stato il metal estremo dai suoi albori ad oggi, nella sua veste più genuina. E' un lavoro gotico nel senso di oscuro ma anche per quella che potremmo definire una sorta di elevazione spirituale inversa, un inabissarsi nei meandri più profondi del malessere e dell'angoscia. E' black per il suo essere un monolite nero che si erge minaccioso sull'ascoltatore, una massa dalla superficie scabra che inghiotte ogni luce ed ogni speranza. E' death per la sua forza, per il suo impatto, per la capacità di travolgere quando si accelera. E' doom per il suo suono mastodontico e per il suo incedere pachidermico e funereo nei momenti in cui si rallenta. E' tutto questo e niente di tutto ciò perchè in realtà riconoscerete poco o nulla del black, del death o del gothic o del doom per come siete abituati ad intenderli, eppure ci sono, perchè in realtà è stato quest'uomo a inventarsi quasi tutto e a stravolgere i canoni da lui stesso imposti, forgiando quello che probabilmente è stato in assoluto il primo gruppo avantgarde della storia del metal e che nei Trypticon trova il suo prosieguo.
Un disco ai limiti della perfezione se avete lo stomaco e la capacità di affrontarlo dall'inizio alla fine (e non è poco), impreziosito da una confezione curatissima e dallo splendido artwork concesso dal grande Giger.
Più che un disco un'esperienza... che vi farà male. Soffrite!

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venerdì 16 aprile 2010

KONGH - Shadows Of The Shapeless

Trust No One - 2009
Death (+ black e solite solfe)
Da 1 a 10: Trascurabilissimo (5)
Articolo di: Martina d'Errico



Sarà che l'atmosfera primaverile non si addice a musica di questo genere, sarà che i Kongh non propongono niente di particolarmente rivoluzionario, fatto sta che dopo la prima, interminabile canzone, avevo già voglia di chiudere e passare ad altro.

Ma, dato che sono una redattrice come si deve (o almeno mi piace crederlo!) sono andata fino in fondo, in modo da poter dare un parere fondato.
Come avrete intuito da nome, titolo e copertina, gli svedesi suonano il solito death/black metal cercando di essere più cattivi dei vicini norvegesi. Perdonatemi il sarcasmo ma dopo aver ascoltato cd su cd tutti più o meno uguali, mi capita di non sapere più cosa dire.
Al solito, ci troviamo di fronte a buone capacità tecniche e strumentali, ma quello che manca a questo disco, così come a tanti altri dello stesso genere e non, è un'anima, un qualcosa che lo distingua, che faccia venire voglia di ascoltare proprio quello invece di un altro e che permetta, una buona volta, di renderlo un disco da ricordare per più di due giorni dopo l'uscita.
Anche in questo caso sono sicura che i cultori del genere si divertiranno non poco su questi cinque pezzi, e mi sento quasi di consigliarne l'ascolto; tutti gli altri, passino pure avanti senza indugi.


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martedì 13 aprile 2010

ARTIST VS POET - Favorite Fix

Fearless - 2010
Petting-Pop-Punk
Da 1 a 10: Limone politico (6)
Articolo di: Enrico De Domeneghi

Voglio dire, se fossi un pre-adolescente e sentissi un irrefrenabile bisogno di frangiarmi anche il principio di baffetto appena spuntato sotto il naso, questo sarebbe probabilmente il MIO disco. Direttamente dal Texas più romanticone, gli Artist VS Poet ci propongono infatti un discreto esempio di pop-punk di nuova generazione, mai così lontano dagli standard del genere targati '90. Perchè 'Favorite Fix' non profuma nè di Ramones, nè di Weezer, rivelandosi piuttosto come una serie di canzoncine umidicce e super prodotte che comunque non riescono, per contratto temo, a suonare malissimo.

'Favorite Fix' strizza l'occhio agli arrangiamenti elettronici come ai coretti più zuccherosi, e qualche brano a dire il vero è ben costruito. Il punto è che non eccelle affatto per personalità, rimandando continuamente a questo o quel gruppo, a seconda dele soluzioni riprese qua e la. 'Car Crash' apre le danze e ci fa presente che i New Found Glory hanno creato un proselito di discepoli numerosissimo, tra i quali troviamo anche i nostri. Sonorità in linea tornano anche a metà disco, in 'Unconscious Reality' e 'Damn Rough Night'. Altri riferimenti potrebbero essere The Postal Service ed Enter Shikari per quanto riguarda l'uso di certa elettronica spiccia ('Adorable' e Damn Rough Night') e My Chemical Romance in 'We're Al The Same'. In ottava posizione, immancabile, troviamo poi la ballatona di prassi e da qui in poi il disco non fa che ripetere sè stesso. Piacevole l'outro 'Giving Yourself Away', pezzo brillante e capace di dare l'appena sufficiente scossa finale al lavoro. Di sicuro superfluo, certo, ma non me la sento di dire brutto. Rimane solo il rammarico di aver visto gli ennesimi nuovi protagonisti del new-punk-pop incagliarsi sui solidi lidi ripetitivi. Vuoi mettere i Millencolin all'epoca.

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lunedì 12 aprile 2010

HALLOWS EVE - The Neverending Sleep

Metal Blade - 2008
Thrash Metal (old - school)
Da 1 a 10: Ottimo (8)
Articolo di: Davide Pozzi



“The Neverending Sleep” segna il ritorno sulle scene degli americani Hallows Eve, thrasher vecchio stampo autori di un classico thrash metal per l’appunto, suonato ed interpretato con grande sapienza, godibile specialmente nelle serate caratterizzate da un alto tasso alcolico; che per quello che mi riguarda, si traduce in una sera sì e quella dopo pure.

Attivi dal lontano 1983, la band di Atlanta ha confezionato in carriera solo cinque full-length (compreso quest’ultimo lavoro) più diverse raccolte e apparizioni su svariate compilation. Non si possono certo definire una delle band più prolifiche della storia, ma ascoltando questo nuovo lavoro mi viene da aggiungere un bel peccato che non sia il contrario, vista la bravura evidenziata brano dopo brano tradotta in grandi doti tecniche ed eccellenti qualità compositive, senza contare poi un’attitudine al genere davvero notevole. Brani come la title-track, “Dance Of The Dead”, “72 Virgins”, “Doors Of Misery”, “The Sun Must Die” sono esempi di quanto detto pocanzi e fanno venire letteralmente l’acquolina in bocca se si pensa alla resa in sede live. La grande facilità con la quale gli Hallows Eve sfornano brani fatti su misura per un headbanging forsennato li rende praticamente irresistibili fin dal primo ascolto, il sound è fottutamente heavy (nel senso di pesante) e maledettamente anni 80; per la serie alziamo un bel dito medio al tempo che passa e alle mode frocio-metal che intasano il mercato.

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domenica 11 aprile 2010

REJECTED YOUTH – Angry Kids (2010 reissue)

Concrete Jungle - 2010
Punk
Da 1 a 10: Superfluo (5)
Articolo di: Michele Marinel


Sono passati 5 anni da quando questa band tedesca pubblicò il suo second album, “Angry Kids”. Per quanto siano stati osannati dalla stampa tedesca all’epoca, chiediamoci una cosa molto semplice: era veramente necessaria questa ristampa?
Ahimè la risposta è un ‘no’ abbastanza lapidario.

Il quartetto teutonico è fautore di un punk rock figlio degli anni ’90, che vorrebbe guardare ai Clash ma il cui sguardo si ferma ai Rancid. E sono le tante similitudini con la band californiana che rendono questo disco stucchevole. In se stessi i brani sono pure carucci, godibili, ma il senso di deja vu si affaccia alla mente dell’ascoltatore così tante volte da risultare davvero fastidioso, tanto più che questa ristampa, oltre alle 16 tracce della versione originale, contiene anche 6 bonus tracks, più una serie di contenuti multimediali.
Ad onor del vero il disco non è malaccio, ci sono alcuni pezzi veramente carini, pezzi ruvidi, altri più festaioli, alcuni momenti impegnati come la bella “Antifascista”. Diciamo che se la band fosse stata in grado di esprimere una più spiccata personalità probabilmente questo disco sarebbe stato decisamente migliore.

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sabato 10 aprile 2010

TICKING BOMBS – Crash Curse In Brutality


Concrete Jungle - 2009
Hardcorepunk vecchiamaniera
Da 1 a 10: Woohoohoooo (7)
Articolo di: Michele Marinel

Band nata nel 2000 dall’incontro di quattro amici di Fagersta, Svezia. Per combattere la noia della quotidianità della loro cittadina, i nostri quattro pensano bene di mettere su un gruppo, anche se non sanno praticamente tenere in mano uno strumento. Nove anni dopo i nostri giungono al quarto album (il primo non autoprodotto), un traguardo ottenuto a colpi di passione, costanza e dedizione, anche perché diciamocelo, le capacità tecniche sono migliorate dai loro esordi, ma non poi così tanto.

Ma va bene così. Non saremo certo noi a lamentarci del suon ruvido, dei riff asciutti, delle ritmiche lineari o degli assoli elementari di questo disco. Si tratta di hardcore punk vecchia maniera, mica di prog-post-qualcosa-core. I brani sono molto semplice, con strutture canoniche, niente di nuovo insomma, però si fanno amare con quell’approccio “fuck off” tanto caro agli Exploited, qualche melodia che richiama i Rancid più anfetaminici e dei cori sing-a-long che riportano alla mente tanto l’Oi! Punk quanto l’hardcore primevo di Agnostic Front e simili.
Anche i testi sono allineati alla tradizione del genere: storie di strada, di vita quotidiana, di unione e fratellanza, storie di violenza e inni contro la polizia.
Niente di nuovo come si diceva prima, ma nonostante questo un disco piacevole, coinvolgente, un lavoro che lascia intuire quanta potenza possa sprigionare questa band dal vivo. Per tutti i fan del genere, che da un disco punk cerca sempre e solo punk, questo può essere un lavoro certamente interessante.

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martedì 30 marzo 2010

ABYSS OF PAIN – Professing Through Terror


Crash & Burn - 2010
Death Metal tutto d'un pezzo
Da 1 a 10: Lodevole ma ci devono lavorare (6)
Articolo di: Michele Marinel


Nata come Swarm nel 2003 e ribattezzatasi Abyss Of Pain l'anno successivo, la band del Friuli Venezia Giulia approda finalmente al full length.

"Progression Through Terror" snocciola 11 pezzi di death metal senza troppi fronzoli, diretto, efficace, con un suono grasso e rotondo che punta all'impatto più che a stupire con la tecnica.
In effetti l'approccio di questi ragazzi alla materia è più un colpo di mazza che un gioco di fioretto, ma tutto sommato si fa apprezzare anche per questo. Le radici di questa band sono chiare ed affondano profondamente nella tradizione del death metal europeo, non tanto quello melodico di Gotheborg, quanto quello primevo della prima scena europea, quella di Entombed, Dismember, Grave e via dicendo.
Un suono quindi oscuro e violento, fatto di riff compatti e non arzigogolati, di ritmiche quadrate che frequentemente scivolano in mid tempos sulfurei sui quali alegga maligna ed oscura la voce profonda di Alessandro Molaro.
La struttura piuttosto lineare dei brani è probabilmente dovuta anche alla presenza di una sola chitarra. In effetti un'altra ascia potrebbe portare un po' più di dinamica ai pezzi e magari anche qualche miglioramento in fase solistica.
Sicuramente un combo da andare a vedere dal vivo vista la "botta" di cui sono capaci. Da un punto di vista strettamente critico invece, pur essendo lodevole l'amore e l'integrità verso un genere, la band deve lavorare per trovare una sua più marcata personalità. Ad ogni modo ad ogni buon deathster questo disco piacerà

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lunedì 29 marzo 2010

DARK END – Assassine


Crash & Burn - 2010
Symphonic Black Metal
Da 1 a 10: Notevole (7)
Articolo di: Michele Marinel


Notevole secondo album per questo ensamble black metal tutto italiano. Partendo dalla confezione, con un artwork davvero suggestivo, passando per un concept non scontato (nonostante all'apparenza possa sembrare il contrario) per finire con il contenuto e la sostanza di un disco che pur non essendo rivoluzionario, da respiro ad un genere da parecchio tempo in decadenza.

Fin dal titolo il tema del disco è chiaro: si parla di donne che uccidono, di assassine, appunto. Un concept che snocciola le sanguinarie avventure di differenti donne che hanno segnato la storia del crimine. Si spazia dall'Italia agli Stati Uniti passando per la Francia e per la Nuova Zelanda. Sorprendentemente la contessa Bathory manca all'appello, forse per non cadere nel banale, anche se un capitolo sulla prima serial killer della storia avrebbe calzato a pennello.
Musicalmente l'album è un riassunto di parecchio black metal sinfonico tra la fine degli anni '90 e l'inizio del decennio successivo. Il suono è pulito, l'esecuzione precisa, i brani piuttosto articolati. Sicuramente la band fa riferimento ai grandi nomi del genere. Certe orchestrazioni magniloquenti riecheggiano i Dimmu Borgir degli ultimi album, i passaggi più feroci ricordano invece i Satyricon di Nemesis Divina, la componente teatrale e certe bordate in cui al black si mescolano heavy e thrash invece occhieggiano i Cradle Of Filth del periodo di mezzo. Echi, sia ben chiaro, non plagi, perchè la band si muove comunque su coordinate sue proprie, anche se debitrici nei confronti della tradizione del genere.
Certo non un album che sconvolge una scena ma, come si diceva in apertura, un disco che si fa apprezzare, che fluisce in maniera disinvolta nonostante la lunghezza e la complessità dei brani, e che dimostra che si può dire ancora qualcosa di interessante in una scena come quella del black sinfonico. Non da poco.

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mercoledì 24 marzo 2010

THEATRE OF TRAGEDY – Forever Is The World




AFM Records – 2009
Gothic Metal (Caduta di stile...)

Da 1 a 10: Un album poco convinto e poco convincente.(5)
Andrea “Psalm 69”Valeri


Ho sempre difeso i ToT, anche dopo la svolta elettronica (secondo il sottoscritto i due migliori albums della loro carriera), anche dopo la dipartita di Liv Kristine.
Infatti Storm, il precedente lavoro, dimostrava tutta la loro capacità di songwriting, nonostante un evidente passo indietro rispetto all’uso massiccio dell’elettronica di Musique e Assembly.
Qui invece, manca proprio il mordente, manca quel quid che rendeva le loro melodie invidiabili e dava ad ogni brano uno spessore avvincente.
Se escludiamo l’iniziale Hide and Seek, i pezzi si succedono con una certa indifferenza, formalmente ben confezionati ma privi di una reale ispirazione che li porti a svettare.
Decisamente il vero passo falso della loro carriera.


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THE 69 EYES – Back In Blood




Nuclear Blast – 2009
Gothic Rock (Ritorno in grande stile per i vampiri di Helsinki)

Da 1 a 10: Melodico, travolgente, azzeccato.(8)
Andrea “Psalm 69” Valeri


Chi vi scrive ha appoggiato la carriera dei cari vampiri fino a qualche album fa, quando cioè i nostri si erano impelagati in un gothic piacione che abbandonava i territori glam per approfondire i toni baritonali di Jyrki e accentuare le componenti romanticoidi del look.
Il risultato non era disprezzabile ma sembrava aver ceduto a regole di mercato nel periodo in cui gruppi come gli Him assurgevano al successo.
Con questo nuovo lavoro, (che già dal titolo rimanda ad un certo Back In Black…) si torna su territori in cui il gothic va a braccetto con un glam rock ruffiano, coinvolgente, immediato e di sicuro impatto.
Melodie sempre intraprendenti, ammiccanti, impregnate di un rock alcolico sempre pronto ad incendiare le folle con le sue movenze catchy.
Non ci sono cadute di tono o di stile. L’album scorre liscio nel lettore ed invoglia a più di un ascolto.
Se li amate, se avete apprezzato soprattutto i primi lavori, non potrete lasciarvelo scappare.
In edizione limitata (digibook) troviamo anche un video e l’intero live contenuto in Hollywood Kills.

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martedì 23 marzo 2010

ASHES OF BETRAYAL - First World Collapse

Strikedown - 2009
Hardcore-Metal (90's style)
Da 1 a 10: L'intransigenza paga (7)
Articolo di: Enrico De Domeneghi


Quando il senso di un'apocalisse imminete ti si appende alla schiena ed affonda i denti nella tua nuca, due sono le soluzioni possibili: rimanere nell'immobilità a guardare che succede o ergersi sulle proprie gambe e, direbbero gli Have Heart, 'urlare contro quel sole' che sembra accecare i più, per far sapere che non tutto è perduto. Non ancora almeno. Gli Ashes Of Betrayal hanno optato proprio per questa strada, e ci scagliano contro cinque pezzi hardcore in stile Reprisal-Walls Of Jericho-primi Terror che strizzano l'occhio, soprattutto nelle chitarre, agli Slayer. Ma il discorso qui è un po' piu ampio, perchè il maggior pregio di 'First World Collapse' è portare avanti un discorso organico che comprende musica da una parte, un'intifada di testi taglientissimi su tematiche socio-politiche dall'altra ed un ottimo artwork curato da Fabio, dietro alle pelli quanto all'obiettivo e al pc, capace di dare forma tramite le immagini al messaggio degli Ashes Of Betrayal.

Il disco esce per Strikedown Records dopo due demo autoprodotti e vari cambi di line-up. La solida band sarda si è fatta le ossa prima di tutto sul palco, aprendo per alcuni tra i nomi più blasonati della scena a livello non solo nazionale -Cripple Bastards, Sick Of It All e Rise And Fall su tutti. A livello strettamente musicale, comunque, qui si torna indietro di qualche anno, il sound proposto è diretto e genuino, con una buona sezione ritmica alla base ed un altrettanto buon lavoro delle sei corde. Ottimo l'utilizzo della voce, in particolare quando i ragazzi sperimentano cori capaci di dare la svolta ad un intero pezzo. Spiccano infine, ma qui è semplice questione di gusti, 'Look At Yourself' e il suo rallentamento iniziale riuscitissimo e la sferzata finale di 'Greed Over Conscience', dal minuto e cinquanta in poi.

Gli Ashes ci offrono un buon esempio di come un genere dalle fondamenta già definite e ben piantate possa ancora essere suonato con una convinzione tale da imprimere un vero e proprio marchio di fabbrica ai pezzi. L'angustia del contesto in cui si muovono, quel che poteva cioè essere per loro un limite, finisce forse per diventare il punto di forza del disco. L'intransigenza, stavolta, paga.

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domenica 21 marzo 2010

DARK TRANQUILLITY - We Are The Void

Century Media - 2010
Melodic Death Metal (100%)
Da 1 a 10: Impeccabile (7)
Articolo di: Davide Pozzi



Tornano a distanza di tre anni dall’ultimo lavoro gli svedesi Dark Tranquillity, da sempre, insieme ai fratellastri In Flames, band di riferimento per il genere melodic death metal. Non c’è dubbio che la band di Mikael Stanne in questi anni sia rimasta maggiormente fedele alle proprie radici dimostrando una coerenza musicale che spesso è mancata alla band di Friden, troppo spesso impegnata a rinnovarsi, fallendo puntualmente il colpo.

Così in questo nuovo “We Are The Void” troviamo le medesime caratteristiche che tutti noi ci siamo abituati a scoprire in un nuovo disco dei Dark Tranquillity: grande forza nei suoni, aggressività e melodia che si intrecciano perfettamente, passaggi strumentali e vocali di grande impatto. La capacità della band svedese, attiva da oramai venti anni, di proporre ancora oggi brani efficaci e ricchi di phatos è una qualità unica che ha sempre contraddistinto i DT e che emerge in maniera lampante disco dopo disco. “Shadow In Our Blood”, “Dream Oblivion”, la bellissima “At The Point Of Ignition” sono solo esempi di quanto appena detto e antipasti per quello che riserva “We Are The Void”. Dal punto di vista esclusivamente musicale, questo nuovo lavoro segue le impronte lasciate dal precedente “Fiction”, di conseguenza la componente melodica è sempre più evidente, al cospetto di quell’aggressività che la faceva da padrone specialmente nei primi lavori. Disamine tecniche a parte non resta molto da dire su questo “We Are The Void” ennesimo ottimo lavoro, per una band che non fallisce mai il colpo. Che cosa possano ancora offrire i Dark Tranquillity in futuro più di quanto fatto fin qui è davvero difficile da capire, oggi ci resta l’ennesimo grande capitolo di un’avventura tanto lunga quanto indimenticabile.

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venerdì 19 marzo 2010

FORSAKEN - After The Fall


I Hate - 2009
Metal (con incursioni doom)
Da 1 a 10: Non male! (7)
Articolo di: Martina d'Errico



Arrivano da Malta i Forsaken, una provenienza piuttosto curiosa che se non altro li avrà aiutati, agli inizi della loro carriera, ad attirare un po' di attenzione. Carriera che va avanti dal 1990; vent'anni durante i quali la band ha pubblicato tre album, un demo, un ep e anche un dvd, oltre a essere apparsi in varie compilation.
Il genere verso il quale si orientano è un metal di matrice piuttosto classica con qualche incursione doom, ma restano fondamentalmente una di quelle band che, per quanto si impegnino a suonare al meglio, riuscendoci peraltro, la loro musica, non sembrano intenzionate a cambiare la storia del metal o a proporre nuove idee.
Resta inoltre da precisare che è un ascolto consigliato soprattutto agli amanti del genere, poichè a chi non è appassionato potrebbe risultare un po' noioso. In ogni caso, a voi il giudizio finale!

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mercoledì 17 marzo 2010

DOMMIN – Love Is Gone

Roadrunner - 2010
Gothemopop...
Da 1 a 10: C'è del buono ma anche tanto altro... (5)
Articolo di: Michele Marinel


Beh sarò sincero, a vedere questi ciuffati figuri e leggendo il titolo dell'album mi aspettavo molto, ma molto peggio... ciononostante non si può assolvere del tutto questa giovane band che ci mette anche dell'impegno in un disco come questo ma che, fondamentalmente, cade troppo spesso in imperdonabili banalità.

I Dommin potrebbero essere classificati come una goth rock band dal sound moderno, legata all'ormai definitivamente degenerato movimento emo non solo dalle frange ma anche dall'uso e dall'abuso di melodia e un immaginario malinconico-romantico, il tutto con qualche spruzzata più o meno dark.
In alcuni passaggi si notano influenze nobili, come nella title track che riecheggia in parte un Danzig di vecchia data, qui purtroppo svilito dalle caratteristiche appena citate. Qualche elemento horror punk qua e là si sente, ma il tutto viene soffocato da una vena pop che potrebbe anche essere un punto di forza per una band come questa ma che, invece, date certe banalità tanto dal punto di vista musicale quanto dell'immaginario impiegato, fa scadere il tutto.
Pur riconoscendo al gruppo la capacità di scrivere brani accattivante e di sicuro appeal il disco suona fin troppo ruffiano e melenso, con quell'aura stuccevole che contraddistingue i lavori, per citare due esempi, degli HIM e degli ultimi AFI. Il goth è un'altra cosa ragazzi.


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martedì 16 marzo 2010

DEATH BEFORE SUNRISE - Not All Who Wander Are Lost

Casket Lottery/Catalyst Records - 2009

Pop-Punk/Screamo (vedi 8 anni prima)
Da 1 a 10: Ispirano simpatia (7)
Articolo di: cece

Cercando qua e là e facendo un copia/incolla di gruppi “made in U.K.” possiamo facilmente ottenere i Death Before Sunrise, quartetto gallese che si accoda ai vari You, Me At Six, Kids In Glass Houses, Save Your Breath, pescando anche dal passato e da altre tendenze come Funeral For A Friend o The Blackout. E' forse il caso però di rallentare con i paragoni, i DBS viaggiano con una o due marce in meno rispetto ai “fratelloni” anche se il loro MCD di sette pezzi “Not All Who Wander Are Lost”, forte di un suono pop-punk molto catchy, semplice e ad impatto immediato, risulta da subito gradevole e degno di nota. Cercando qua e là e facendo un copia/incolla di gruppi “made in U.K.” possiamo facilmente ottenere i Death Before Sunrise, quartetto gallese che si accoda ai vari You, Me At Six, Kids In Glass Houses, Save Your Breath, pescando anche dal passato e da altre tendenze come Funeral For A Friend o The Blackout. E' forse il caso però di rallentare con i paragoni, i DBS viaggiano con una o due marce in meno rispetto ai “fratelloni” anche se il loro MCD di sette pezzi “Not All Who Wander Are Lost”, forte di un suono pop-punk molto catchy, semplice e ad impatto immediato, risulta da subito gradevole e degno di nota. Positivi gli inserti ed i riff con quel sound heavy che pare abbia un'attaccatura un po' forzata ma nel complesso dona un sano tocco di diversità tra una canzone e l'altra. Senza perdere tempo segnalo quella che, senza alcun dubbio è la miglior canzone della band: “Into The Night” e qui i complimenti si sprecano sia per le melodie che per le grandi doti del vocalist Richard Fisher. A questo punto non posso far altro che annodare il fazzoletto, in attesa di un album completo e magari ben prodotto, non deludetemi Death Before Sunrise.

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GAMMA RAY – Insanity And Genius/Land Of The Free

Cooking Vinyl - 2010
Pawaaaaaaa!
Da 1 a 10: Pezzi di sotria pt. 2 (Senza Voto)
Articolo di: Michele Marinel

Seconda delle due ristampe che ripropongono i primi lavori della band fondata e guidata da Kai Hansen. Questa volta tocca al terzo e quarto album, in ordine di apparizone "Insanity And Genius" del 1993 e "Land Of The Free" del '95.

Il primo dei due dischi rappresenta una sterzata del combo teutonico verso uno stile più aggressivo e diretto, più vicino all'heavy classico con particolare riferimento ai Judas Priest, sia quelli storici che quelli più duri di "Painkiller". Non è un caso se tra le tre bonus tracks di questa versione dell'album spicca una rivisitazione di "Exciter" della premiata ditta Halford/Tipton. Nonostante questo indurimento non manca lo stile scanzonato che ha sempre contraddistinto i nostri, che tra l'altro reinterpretano il brano "Gamma Ray", brano della band kraut rock Birth Control Number, un'autocelebrazione ricca di autoironia, dote che in campo metal è quantomai rara. Ad ogni modo "Insanity And Genius" è, a discapito del titolo, un album molto più tradizionale rispetto ai suoi predecessori, in cui predomina l'anima heavy metal rispetto a quegli elementi hard rock che avevano impreziosito e reso così particolare questa band. Un passo indietro? Forse, ma ciò nonostante un gran bel disco a cavallo tra l'heavy classico e il power, tradizionale sì, ma mai scontato, con riff taglienti e un Ralf Scheepers in gran spolvero.
La line up della band fin qui è stata in perenne rivoluzione, unici punti fermi sono stati Kai Hansen e Scheepers stesso, ma qualcosa è destinato a cambiare. Stando a quanto riportato dalle note biografiche del libretto è proprio la possibilità che viene ventilata a Scheeprs di poter essere il sostituto di Rob Halford nei Judas Priest che incrina il sodalizio tra le due colonne portanti del gruppo. Hansen mette in dubbio il coinvolgimento del singer nei Gamma Ray e il cantante decide di lasciare... o almeno così viene riportato, anche se il sottoscritto – andando a memoria – ricorda che Scheepers fu messo alla porta. Sia quel che sia il destino del buon Ralf non è quello atteso, il ruolo di sostituto di Halford viene affidato all'ormai noto Tim "Ripper" Owens e Scheepers fonda la propria band, i Primal Fear, che praticamente portano avanti lo stile dei Priest di "Painkiller" con una devozione quasi commovente.
Vista la strada che da lì a poco verrà intrapresa dai Gamma Ray è comunque ipotizzabile anche una qualche divergenza a livello artistico. Nel '95 infatti esce "Land Of The Free", forse il miglior disco del combo teutonico e indubbiamente uno dei più bei dischi power metal di sempre. Hansen prende sulle sue spalle il ruolo di lead vocalist oltre che di chitarrista, come ai tempi del primo album degli Helloween. Il risultato però è sorprendente. "Land Of The Free" riesce a coniugare le bordate power heavy del suo predecessore con la vena più estrosa dei primi due album, il tutto avvolto in un'aura epica e sognante. Ospiti blasonati in quest'album sono Hanis Kursh, singer dei Blind Guardian e niente meno che Michael Kiske, ex compagno di Hansen negli Helloween ai tempi dei due "Keeper...". Un disco vibrante (arricchito qui da tre bonus tracks comparse come B-Sides dell'Ep "Rebellion In Dreamland") in cui La band riesce ad esprimere tutto il suo potenziale come non aveva mai fatto prima e come, purtroppo, non riuscirà più a fare. Un capolavoro del genere.

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lunedì 15 marzo 2010

GAMMA RAY – Heading For Tomorrow/Sigh No More

Cooking Vinyl - 2010
Pawaaaaaaa!
Da 1 a 10: Pezzi di sotria pt. 1 (Senza Voto)
Articolo di: Michele Marinel


Prima di due ristampe che accoppiano i primi quattro album dei Gamma Ray, un'occasione ghiotta per riscoprire alcune perle del power metal teutonico quando il genere non era ancora del tutto sputtanato.

Era il 1990 quando vide la luce l'album di debutto dei Gamma Ray, creatura fondata e guidata da Kai Hansen, transfugo dagli Helloween dopo i primi strabilianti tre full lenght. Accompagnato da Uwe Wessel al basso, Mathias Burchard alla batteria e dal singer Ralph Scheepers, il nostro folletto teutonico da vita ad un progetto che rilegge il power metal in chiave decisamente più ariosa. Il risultato è un album che, per quanto mostri alcuni spigoli, ha un ampio respiro e si colloca a cavallo tra il power helloweenianio, il metal classico e il rock più adulto e articolato.
In questa versione il disco è arricchito da 3 bonus tracks in origine pubblicate come B-sides del singolo "Heaven Can Wait".
L'anno dopo (all'epoca le band si davano ancora da fare) esce "Sigh No More", secondo capitolo della saga del Raggio Gamma, che affina il tiro del debutto indurendo un po' l'approccio ma mantenendo quegli elementi "ariosi" mutuati dagli Uriah Heep e dai Queen che hanno reso questi dischi speciali. Meno acerbo del precedente è sicuramente un album più definito anche se forse perde un po' in spontaneità. Anche in questo caso le bonus tracks sono 3.


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mercoledì 10 marzo 2010

FEAR FACTORY - Mechanize


AFM - 2010
Industrial Metal
Da 1 a 10: 9/10
Articolo di: F. Paolo Micciche'



Ci sono voluti cinque anni di attesa, di cui l'ultimo speso tra beghe legali sul nome e sui diritti, prima di riportare a galla il nome dei Fear Factory.
Non che gli statunitensi pionieri di un industrial a tratti estremo siano mai stati dimenticati, ma un album del genere fa la sua (s)porca figura, a maggior ragione in un periodo in cui i grandi nomi sembrano non voler produrre più qualcosa di soddisfacente.

A dire la verità ero a digiuno da questo gruppo da qualche anno, e ho dovuto passare l'ultimo mese ad ascoltare SOLO ED ESCLUSIVAMENTE i loro lavori, per poter capire quanto sia importante la loro ultima fatica.
La prima cosa che si nota in Mechanize è il ritorno in pompa magna di Dino Cazares, supportato alle pelli dall'ex Strapping Young Lad Gene Hoglan: l'apporto in stile Death Metal di Hoglan condisce di violenza le ritmiche pulsanti della Ibanez di Cazares, basti sentire la title-track stessa o "Powershifter", tanto per citarne un paio.
La voce di Burton C. Bell, altra anima dei Fear Factory, sa essere sia leggera (per quanto di leggero possa esserci nei FF...) in un pezzo come "Designing the enemy", sia mastodontica e brutale in "Fear Campaign", o in "Industrial Discipline", dove la timbrica di Bell si alterna tra urla sovrumane ed esibizione pulita, ma sono "Oxidizer" e "Controlled Demolition" i pezzi che segnano la rottura definitiva con il passato meno remoto: in puro stile Fear Factory dell'epoca "Obsolete", sembrano voler dimenticare i precedenti esperimenti in stile new-metal della reggenza di Olde-Wolbers.

Lungi dal definire il ritorno di fiamma tra Cazares e Bell una manovra commerciale dedicata a richiamare a sè la folta schiera di fans che si meritano, con "Mechanize" ci troviamo di fronte non ad un album qualsiasi dunque, ma IL (e lo scrivo in maiuscolo) tanto atteso resurgam dall'oblio e dalla povertà creativa: il combo statunitense torna schiaffeggiandoci con 45 minuti di sonorità spietate che lasciano l'ascoltatore senza respiro, supportate dal classico songwriting dal quale non trapela alcuna positività, in un ritratto di un mondo meccanizzato e senza speranze nel quale tutto è affidato alle macchine.

Bentornati nell'inferno.

Questa la Tracklist:

01. Mechanize
02. Industrial Discipline
03. Fear Campaign
04. Powershifter
05. Christploitation
06. Oxidizer
07. Controlled Demolition
08. Designing The Enemy
09. Metallic Division
10. Final Exit


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NECRODEATH - Old Skull



Autoproduzione/Scarlet - 2010
Extreme Metal
Da 1 a 10: 7/10
Articolo di: Salvatore Mazzarella

Introduzione
Ed eccoci qui,dopo ben 25 anni,a festeggiare la presenza e la perseveranza di Peso e soci nell’ostico panorama musicale italiano. Venticinque anni di entusiasmo e temporanei ripensamenti,di sacrifici e piccole soddisfazioni,di gente che se n’è andata e di nuovi arrivati, il tutto con unico fattor comune: la qualità, e questo al di là dei pareri personali (c’è chi non ha gradito la svolta di Draculea,io lo trovo semplicemente fantastico…).


Resto del post
Detto questo,non impazzisco per gli album composti esclusivamente da covers e questo Old Skull và obbiettivamente valutato per quello che è, cioè un modo per festeggiare questo anniversario segnando un punto fermo nella discografia per poi ripartire ancor più carichi. I gruppi coverizzati fanno parte del background dei Necrodeath, dai più estremi Slayer,Sodom,Kreator e Bathory ai più classics come Black Sabbath,Motorhead,Venom e Diamond Head. In queste nuove versioni comunque fedeli alle originali è evidente il marchio di fabbrica dei nostri, dalle vocals di Flegias alle svisate di Pier ed in particolar modo le rullate di Peso che conferiscono a tutti i brani maggior potenza ed aggressività. Notevole la schiera degli ospiti,oltre ad ex membri del gruppo ci sono Andy Panigada ed A.C.Wild dei Bulldozer ed inoltre troviamo una nuova versione di Mater Tenebrarum in apertura,suonata dalla band odierna e posta al confronto con la versione del 1985,posta in chiusura,meno potente della nuova,ma sicuramente più malsana!!! Insomma se siete fans del gruppo avete buoni motivi per acquistare questo disco con la speranza che dal relativo tour celebrativo se ne possa trarre finalmente una testimonianza filmata.



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