martedì 24 novembre 2009

RUSSIAN CIRCLES - Geneva

Suicide Squeeze - 2009
Post-rock, Post-metal, Progressive
Da 1 a 10: (7)
Articolo di: Enrico De Domeneghi

Signori, siamo seri. Affacciarsi a questi suoni comporta oggi un grosso rischio. Il post-metal -e rimaniamo il più larghi possibile sulla definizione-, rasenta ormai la saturazione, e il pericolo 'Formula', l'omologazione dilagante, sono dietro l'angolo. Nel panorama attuale le proposte di una certa rilevanza stanno rivestendo un ruolo sempre minore -vedi gli ultimi Callisto- e questo è ovvio indice di un genere musicale prossimo alla stagnazione. Quando anche le band apristrada si inzaccherano è facile notare come ogni schizzo prodotto non sia altro che lo stesso fango sotto altro nome. Le 'nuove band'. Il solito vecchio fango.

Al lato opposto, quello di chi sa ancora farsi notare, ci sono tra gli altri i Russian Circles. Cugini dei Pelican non solo geograficamente (entrambe le band sono di stanza a Chicago, nda), anche i nostri puntano tutto sulle lunghe progressioni strumentali, tenendo comunque alta la bandiera della ricerca sonora. Le tinte offerte in 'Geneva' sono piuttosto varie, a cavallo tra due coordinate più o meno riconoscibili: quella più post-core di Isis e Cult Of Luna, l'altra vicina al post rock più attuale, quello di Explosion In The Sky, Mogwai e God Is An Austronaut. I tre, che annoverano tra le fila certo Brian Cook, un ex-Botch, hanno aperto ai Tool nel tour inglese di due anni fa, e arrivano da una buona gavetta nel sottobosco afono di Chicago. Anche i Dakota/Dakota, infatti, band in cui militavano precedentemente Mike Sullivan e David Turncrantz, erano un collettivo fieramente privo di voce.
Reduci dal buon 'Enter', la band dell'Illinois dimostra buona scrittura e profondità espressiva, mettendo assieme una scaletta dinamica e intelligente, che fa leva su elementi consolidati nel genere (intrecci d' archi, crescendo-nda), quanto su una personalità ben marcata. Chitarre in tapping e inserti di fiati sono cose che non ti aspetteresti dai Russian Circles, almeno non dopo essere passato per brani come 'Philos' o 'Melee', forse le due migliori prove per il lato più atmosferico ed introspettivo del gruppo. Molto bello il rallentamento ai 3 minuti e mezzo del secondo brano, con un potente riff archi-chitarre a guidare che riporta alla mente i Sigur Rós. E' però la sezione ritmica a farla da padrone in altri pezzi, con un basso potente dagli ottimi suoni e una batterria che spesso perde il ruolo di strumento di accompagnamento per assumere la centralità del brano. Da 'Malko', ad esempio, esce tutta la ruvidezza dell'influenza sludge a stelle e striscie, la stessa che si respira a livello di suoni tesi e sotterranei nell'opener 'Fathom'.

Il fatto è che all'ascoltatore viene in realtà chiesto di comprendere la prospettiva complessiva del tessuto sonoro di 'Geneva' che parte ma non finisce nei singoli mood che i musicisti attraversano. Per poterne intravedere la filigrana, l'unità nel composito e viceversa, come in un Mandhala buddhista. E forse quello che più colpisce è che, pur privi di vocals e consci di aver scelto a priori la via dell'incomunicabilità, i Russian Circles creano comunque sostanza e contenuti. Il linguaggio sarà traducibile solo da una prospettiva soggettiva, certo, sarà limitato al punto di vista dell''io-che-ascolta', ma quello che si gusta nel limbo atemporale che il disco crea è sicuramente nitido e convincente.

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