lunedì 2 novembre 2009

LYNYRD SKYNYRD – God & Guns



Roadrunner - 2009
Redneck Rock
Da 1 a 10: Stars and bars vecchia scuola (7)
Articolo di: Michele Marinel

Redneck di tutto il mondo unitevi! I Lynyrd Skynyrd sono tornati!
Forti di una tradizione che affonda le proprie radici nell'assolata e umida Florida della fine degli anni 60 i nostri tornano a far rullare i tamburi delle loro colt, con il buon dio al proprio fianco.

Con una line up più volte rimaneggiata tanto per opportunità quanto per necessità (viste le tragedie che accompagnano la band fin da un tragico incidente aereo nel 1977) oggi l'unico membro originale del gruppo rimane il chitarrista Gary Rossington.
God And Guns come potete ben immaginarvi non lascia troppo spazio alle sorprese, mostrandoci una band saldamente ancorata ad uno stile più che consolidato, che rimane pressochè immutato nonostante i componenti del gruppo siano cambiati nel corso degli anni. Che sia Rossington a mantenere fermamente il timone? Che sia il singer Johnny Van Zant a farlo, forse in ricordo del fratello maggiore Ronnie, primo indimenticato singer del gruppo? O forse i Lynyrd Skynyrd sono trasmutati in icona del southern rock a tal punto da trascendere i singoli componenti?
Personalmente propenderei per quest'ultima ipotesi, in fondo nessuno riuscirebbe ad immaginare la band in un contesto diverso da quello sudista americano. Punto di forza ed invalicabile limite della band, il retaggio sudista permea i solchi di questo nuovo disco esattamente come ha fatto per tutti gli album precedenti. God & Guns risulta quindi l'ennesimo capitolo di una storia già letta, ma che, diciamocela tutta, non dispiace riascoltare. I pezzi sono ovviamente strutturati su canonici stilemi hard rock, con pesanti influenze blues e country. I brani sono piacevoli, a volte malinconici, come lo sguardo di un vecchio cowboy che guarda il tramonto vedendovi riflesso il proprio declino, altri sono più carichi e vitali, come se quello stesso vecchio pistolero volesse dimostrare di non aver terminato ancora tutte le sue pallottole.
Trascinante nei brani più rockeggianti, l'album risente di qualche calo di tensione nei pezzi più lenti, ma si mantiene su buoni livelli, eccezion fatta forse per Southern Ways che sostanzialmente presenta una riscrittura del classico Sweet Home Alabama che lascia un po' perplessi.
Sorvolando sull'atteggiamento da redneck repubblicani e conservatori che trasuda dai testi della band (la title track è emblematica come anche il brano That Ain't My America), il disco si fa apprezzare pur non apportando fondamentali novità al bagaglio carrieristico degli Skynyrd.
Se non li avete mai amati continuerete a non amarli, se invece siete dei loro fan calcatevi bene in testa il vostro cappello da cowboy e preparatevi ad una lunga cavalcata.

1 commento:

  1. Come si fa a non amarli, io ho ancora in testa il super concerto dell'anno scorso...leggende!

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